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N° 8 Ada Cortese

Ada Cortese

 CONFERENZA 

I COPIONI DELL'AMORE

Modi, Scenari ed Ombre

Amore è un termine difficile da approcciare.
Il vocabolario non ci aiuta molto per districarci in questa difficile e universale tematica.

P.T. de Chardin descrive l’amore come "la più universale, la più formidabile e la più misteriosa delle energie cosmiche".

Nella "Carmen" di Bizet si dice che: "l’amor è uno strano augello, nessun lo può domesticar".
L’amore per Dante "a nullo amato amar perdona".
Per Platone l’amore è "parto nel bello", "punto d’incontro tra uomini e Dio, tra sapienza e ignoranza".
E poi, ciascuno per suo conto possiede di esso una sua personale e irripetibile esperienza.
Si ama il proprio Dio, i propri genitori, la propria moglie, la propria patria, la propria amante, l’erba del vicino, il proprio gatto, un vaso cinese, le lasagne, uno sport, un film, ecc.

Il nostro primo compito è quello di uscire da questa confusione e cercare di mettere un po' d’ordine.
Intanto possiamo dire che, al di là dell’oggetto a cui si applica, esso descrive il processo attraverso cui la persona espande i suoi confini inglobando fantasmaticamente l’oggetto d’amore stesso al punto che lo vive proiettivamente come sua sostanza, parte di sè, gioendo se viene lodato e reagendo se viene aggredito.

E rispetto invece all’esperienza soggettiva che l’amore produce, individuiamo due fondamentali modi di viverlo e cinque fondamentali copioni in cui si esprime.
Per quanto riguarda i modi osserviamo:
1) il modo dinamico e trasformativo, cioè, l’amore verso gli oggetti esterni come tensione e brama e desiderio finalizzati alla loro assimilazione
2) il modo statico e conservatore, cioè, l’amore verso gli oggetti già acquisiti, come tendenza a conservarli, al limite, con difese paranoiche (gelosie, possessività, ecc.).

Per quanto riguarda invece gli oggetti dell’amore, e quindi i copioni attraverso i quali esso si manifesta, possiamo distinguere, ripeto, cinque fondamentali scenari non omogenei tra di loro di cui i primi tre presentano un comune denominatore di cui vi parlerò:
- l’amore mistico o trascendente ( quello in cui l’"oggetto"non è di questo mondo);
-l’amore verso un ideale (idealismi, cause superiori, filosofia, ideale dell’Io, "amor proprio", ecc.) in cui l’oggetto è astratto ma di questo mondo in quanto appartiene al mondo delle idee;
-l’amore oggettuale sia nel suo versante simbolico che in quello strumentale. Facciamo un esempio: l’automobile può essere amata come "mia", come strumento di lavoro, per lo status symbol che rappresenta, o ancora come espressione della creatività umana.

Questi tre scenari sono accomunati dal fatto che, in essi, l’attore del gesto d’amare, il soggetto amante, fruisce direttamente del suo gesto d’amare.
Invece nel caso in cui l’attore non pare essere il fruitore diretto del gesto d’amore abbiamo:
- l’amore abnegante (individuo per l’altro individuo, o per il gruppo o per la specie, famiglia, figli, genitori ecc.) .
Concludiamo infine col quinto scenario:
- l’amore tra due persone. Notevole in quanto terreno d’incontro di tutti gli altri succitati copioni.
Inizieremo le nostre riflessioni a partire proprio da quest’ ultimo "copione" in quanto esso, per la simmetricità e reciprocità in cui si applica, risulta particolarmente interessante per gli equivoci che genera e le problematiche che nasconde e che spesso ci toccano da vicino.
L’amore tra due persone, libero da altre implicazioni, è acquisizione piuttosto recente. Nei secoli passati, e in molte tribù primitive, prevaleva, a giustificare un matrimonio, una unione tra due persone, l’aspetto oggettuale della preservazione ed estensione del patrimonio, consolidamento del potere, elevamento dello status sociale.
Il leit-motiv era dunque: "sposati per ragioni d’interesse perchè l’amore verrà dopo e se non verrà resterà almeno l’interesse! ". L’amore come motivazione era assolutamente secondario.
Oggi, in virtù della libertà individuale come diritto riconosciuto, il lato emotivo e passionale dell’innamoramento pare essersi guadagnato la precedenza su ogni altra spinta all’incontro.
L’amore più diffuso e ricercato tra le persone è l’amore-passione che potremmo definire, parafrasando Renè Nelli, come: "una specifica entità emotiva, nutrita di credenze e di miti suscitati dal contesto sociale e rafforzati dall’imitazione; essa si manifesta alla coscienza in seguito alla scelta, irrazionale ed incondizionata, che due individui hanno fatto l’uno dell’altro, per sopravvalutazione reciproca e in modo di abolirsi idealmente l’uno nell’altro...Questa modalità di esistenza a due non può però apparir loro nè definitiva nè felice, ma inadeguata e soggetta sempre a superamenti successivi per compiersi infine nel sogno, o nella realtà, della morte illusoriamente considerata come il solo stato capace di unire i loro cuori nell’assoluto".
L’amore-passione trasforma l’effimero, il transitorio col suo sapore di morte, nel loro contrario: l’eternità, il momento presente assoluto. Nell’amore, due esseri si accordano in primo luogo contro tutto il resto del mondo per abolire dalla loro esperienza unica ed incomparabile la dimensione temporale.
In concreto, un simile slancio atemporale presuppone una simmetrica estensione di ciascuno dei due partners per avvenuto inglobamento dell’altro e produce una stretta e reciproca identificazione nel tentativo di riprodurre l’androgino originario (l’ermafrodito platonico) in cui l’uomo aspira a diventare la donna che ama, pur restando uomo; la donna l’uomo che ama pur restando donna.

L’ambivalenza per cui ogni sentimento suppone sempre l’esistenza simultanea del suo contrario, più o meno scopertamente, attivo (amore/odio) , e il fatto che nella definizione stessa del possesso di un oggetto entri quale caratteristica essenziale la possibilità di perderlo, con conseguente grave produzione di angoscia (possesso/distruzione) fanno sì che l’idea di morte sia sempre presente nell’amore.

L’amore può sfociare in forme estreme di distruzione che rientrano nel catalogo dei miti conservati dalla nostra società e riprodotti sulla scena o sullo schermo. La forza dell’amore è tale che o i due amanti debbono morire d’amore (Tristano e Isotta, Giulietta e Romeo..) o colui che assume la modalità attiva nei confronti dell’oggetto d’amore lo distrugge per possederlo più completamente (Otello uccide Desdemona per gelosia) o, di fronte all’impossibilità in cui si trova di giungere al possesso e alla fusione totale, si distrugge (il suicidio del giovane Werther).

Questi sono naturalmente i casi estremi di amori-passione. Di mezzo c’è la nostra vita quotidiana e le canzoni di Aznavour in cui si descrivono rapporti amorosi e convivenze forzate in condizioni di deterioramento affettivo.
Come abbiamo visto, possiamo quindi percepire l’amore come "tensione verso", come pulsione ad acquisire il "nuovo", l’oggetto esterno. O, possiamo percepire l’amore come "conservazione" e preservazione dell’oggetto agognato una volta acquisito.

Acquisire l’oggetto d’amore significa estendere i confini del "me" `oltre l’oggetto stesso. Mi sono estesa tanto da introiettarlo e farmi più grande, più mondo soggettivo in virtù di esso. L’oggetto d’amore è diventato una parte di me.

L’estensione di "me" in virtù dell’amore implica anche dinamiche di possesso (spesso torbide perchè oscure) ma le trascende. Io posso possedere senza necessariamente amare ciò che possiedo, ma ciò che diventa "me" per mio investimento libidico necessariamente deve da me essere amato. Posso anche fare a meno di parti fisiche del mio corpo senza per questo sentirmi "meno me".

La riflessione sulla delimitazione del "mio" corpo come luogo in cui vivo, porta a interrogativi di non facile risposta. Ho la sensazione che il nostro corpo, con tutto ciò che assimila, non si esaurisca nel corpo fisico in senso stretto ma che comprenda anche tutto l’ambiente fisico-mentale e spirituale in cui ci muoviamo. Può capitare che io non avverta limiti alla percezione del mio sè per handicap fisici mentre può capitare che io avverta una forte perdita del mio sè se tutto un mondo umano con cui condividevo affettività, ricerca e weltanschauungen viene meno. Questo mostra l’invisibile e piuttosto flebile contorno della nostra cosiddetta "individualità".

Spesso identifichiamo la massima espressione dell’amore con l’abnegazione. Nell’abnegazione il soggetto nega se stesso per l’oggetto d’amore. Vi sono situazioni in cui questa rinuncia alla propria presenza soggettiva (psicologica e fisica a volte) al mondo per salvare l’oggetto d’amore è funzionale all’evoluzione e all’essere. Si pensi alla madre che pur di salvare il figlio sacrifica la sua stessa vita.
E’ un caso estremo di amore abnegante accettabile, da un punto di vista dell’evoluzione, perchè il figlio rappresenta comunque la novità da salvare.

In questi casi estremi l’oggetto d’amore, esterno al soggetto, ha il potere di attirare a sè tutta l’energia psichica dell’amante fino a svuotarlo di significato come soggetto a se stante.
Nell’abnegazione il nucleo della Soggettività è disposto a sacrificarsi per il suo elemento periferico: per il figlio ad esempio.

L’oggetto d’amore dunque fa già parte della soggettività di chi ama ma rispetto all’Io del soggetto amante acquista maggiore rilievo sicchè l’Io o sè amante giunge anche a rinunciare alla propria vita per questa parte percepita comunque come parte di se stesso.
La donna che diventa madre può spostare il nucleo della sua soggettività su questo elemento che, comunque, è periferico rispetto a lei perchè’ lei è comunque una persona staccata dal figlio - l’elemento della perversità rimane - ma dal suo punto di vista ella salva, abnegandosi o psicologicamente o fisicamente, il punto centrale della sua soggettività attuale: l’idea di suo figlio.(in questo caso la madre per il figlio, o il martire per la Patria, o - spostandoci nel mondo preumano - i topi suicidi del Don che hanno permesso, col sacrificio della loro vita, di creare un tappeto su cui il resto del loro gruppo ha potuto attraversare il fiume traghettandosi così dall’ oriente russo all’occidente europeo)

Questi casi sono teoricamente l’eccezione (ripeto "perversa") che conferma la regola. E ciò è buon segno perchè significa che non abbiamo più bisogno di martiri, di eroi. La regola, s’intuisce, è un rapporto di potere con l’oggetto amato totalmente opposto; in cui cioè è sempre l’amante che cerca di mantenere il potere sull’oggetto amato. Ciò significa che egli da un lato ne è, sì, attratto ma non al punto da perdervi la propria soggettività. La dinamica dell’amore (sano) pare prevedere l’inglobamento, l’introiezione e l’assimilazione dell’oggetto amato e mai il contrario.

Come abbiamo già detto, nell’innamoramento, l’oggetto d’amore permette all’innamorato la percezione dell’espansione del proprio io, con aumento di autostima, fiducia e autosufficienza. Quando ciò si verifica tra due individui in modo simmetrico e speculare, la dinamica dell’introiezione e dell’assimilazione dell’amato a se stesso viene operata da entrambi i partners contemporaneamente ma indipendentemente l’uno dall’altro e ciascheduno per suo conto.
E da qui sorgono gli equivoci. Il problema nasce quando l’altro (umano) è percepito come parte propria ma si comporta in modo autonomo.

Facciamo un esempio. Il nostro Io, oltre che dal suo nucleo centrale che, onestamente, non sappiamo dove si trovi, si estende ed ingloba, tra l’altro, anche il nostro corpo fisico. Pertanto è legittimo attendersi che, per esempio, le braccia e le gambe si comportino conformemente alle finalità che il nostro Io vuol perseguire. Immaginiamo adesso che il braccio assuma un comportamento autonomo nel suo compito di portare un cono-gelato alla bocca. Vi lascio immaginare la sorpresa, il disappunto e la frustrazione quando quest’ultimo, decidendo autonomamente, ce lo spiaccicasse in mezzo alla fronte! Quando questo vissuto nasce nella coppia inter-innamorata esso segnala il fatto che l’amore viene agito a livello oggettuale e concretistico. Pensiamo all’altro come a un bel piatto di pasta asciutta già mangiata e digerita: fa parte di noi. E così non ci accorgiamo che pretendiamo di aver introiettato, insieme agli aspetti simbolici, anche la vita autonoma e concreta dell’altro! Nessuno ammette in genere questa dinamica in sè. Ognuno è pronto a dichiarsi "democratico" anche psicologicamente. In realtà siamo ancora cannibali e i sogni spesso ci sono testimoni.
Nell’innamoramento iniziale si assiste alla reciproca esaltazione del reciproco inglobamento. Si vive la reciproca estasi del sentirsi uno, i due innamorati riproducono l’ermafrodito originario perchè ciascuno si sente tutt’uno con l’altro.
Riepilogando i modi abbiamo distinto l’amore sotto due aspetti: Amore come tensione a portar dentro ciò che è percepito come esterno. Esso può investire qualsiasi cosa: oggetti, persone, ideali, ecc. L’amore ha a che fare con il processo di assimilazione. Rendere noi il non-noi.
E amore come conservazione del già assimilato. Reso simile a noi.
Perchè ho parlato prioritariamente di questa modalità dell’amore e di questo copione? Perchè secondo me questo è il più diffuso. Però fermarsi solo ad esso non renderebbe giustizia ad altre ricerche, ad altri modi di amare che l’uomo cerca e che, comunque, porta in sè.

Quello che abbiamo descritto è un modo concretistico, assolutamente asimbolico e pre-soggettivo. Un uomo che sappia di sè come soggetto non potrà mai accontentarsi di questi modi d’amare perchè il suo bisogno fondamentale: confrontarsi con un suo pari, dunque un soggetto, in cui la diversità e l’autonomia sono costitutivi, presupposti e dunque necessari, non può venire soddisfatto.
Infatti nel concretismo tutto è ridotto ad oggetto e il soggetto resta solo. Con l’unica finalità - per lui che non si riconosce tale nè può dunque riconoscere altri fuori di sè - di cercare conferma al suo bisogno di potenza e di affermazione come faceva il Jahweh del Vecchio Testamento.
L’altro è amato come propria "creatura" e non come "creatore", ossia capace di vivere e creare altra vita diversa dalla nostra.

Dal mio osservatorio psicologico e psicoanalitico sono testimone della ricerca di un modo nuovo di amare, quello che vada oltre le posizioni rigide di ruolo e complementari di soggetto e oggetto. In fondo sempre di questo abbiamo parlato nei nostri tanti incontri e questo è il nostro più grande anelito. Ma è pur vero che l’anelito resterà tale se non rendiamo coscienti le cause degli equivoci, delle cattive comunicazioni, se insomma, non facciamo emergere l’Ombra dell’amore.

Insomma anche nell’amore, che si tende a relegare nei confini del "naturale", l’uomo mostra la sua condizione contraddittoria sospesa tra conservazione e trasformazione.
L’uomo fa di tutto per pensare all’amore come mera forza naturale - possiamo scomodare il romanticismo ed altre correnti letterarie - perchè almeno si crea l’alibi: "L’amore è misterioso", "al cuor non si comanda", ecc. di modo che almeno si senta giustificato nella pigrizia, nella colpevole mancanza di lavoro rispetto a questo campo, ben intuendo che sarebbe il lavoro più faticoso in assoluto.
Sicuramente in buona parte l’amore è davvero mistero; altrettanto sicuramente però noi esageriamo questo lato per comodità. Mi viene alla mente il rapporto incredibile, sotto questo profilo, tra genitori e figli. Ognuno di noi, come figlio, ha dovuto rappresentare il lato trasformativo.
Si è proteso verso maggiore libertà, dunque ha cercato di creare rapporti intersoggettivi. Poi, diventato genitore, ritorna in ognuno di noi a prevalere il lato conservatore: il possesso, il concretismo, "mio figlio". Ci si augura che di volta in volta, di generazione in generazione, qualcuno si porti con sè la memoria della soggettività cresciuta.
Però, di volta in volta e tutte le volte, sia nel rapporto genitori-figli che nel rapporto intrapsichico personale, noi ci ritroviamo - rispetto all’amore - anche là dove non vorremmo, sospesi, nella nostra solita condizione, tra conservazione e trasformazione.

La conservazione spinge dunque l’uomo al concretismo, al narcisismo, alla patologia della comunicazione. La conservazione è perpetuazione del rapporto d’interdipendenza basato sulla divisione soggetto-oggetto, maschio-femmina.

La trasformazione spinge l’uomo al simbolo, all’integrità psichica, al ritiro delle proiezioni, alla corretta comunicazione. La trasformazione anela all’instaurarsi del rapporto intersoggettivo basato sul reciproco riconoscimento della soggettività.
Sulla via della trasformazione però - si diceva - incombe l’ombra dell’amore. Essa si manifesta, tra l’altro, sotto forma di:
- proiezioni indiscriminate;
- tabù della comunicazione diretta;
- presunta "lettura del pensiero";
- possesso e gelosia;
- fissazione della libido su un "oggetto" particolare (feticismo e idolatria in senso lato: se amo solo unapersona e basta questo ècomunque amore feticista perchè e' amore per un "particolare" anche se di natura superiore ad altri "oggetti") ;
- rimozione dei sentimenti negativi (odio, rabbia ecc.) ;
- "actings-out" e isterismi; ecc.

Senza soffermarci su nessun punto in particolare, proviamo a descrivere alcune situazioni tipiche.
Nella prima fase, l’innamoramento, qual’è l’ombra dell’innamoramento, che pure è magnifica, ognuno di noi si è innamorato almeno una volta e ha vissuto questa "uscita dal mondo", questa "folie a deux" ? Nell’innamoramento i due si idealizzano reciprocamente e vivono un periodo di coscienza alterata (come fossero in ipnosi o sotto "incantesimo").
Trovano l’uno nell’altro l’oggetto totalizzante e totalmente "buono". Vivono una sorta d’immortalità, di atemporalità, di Eden. Ma tutto questo ha un prezzo: il prezzo della riduzione d’uso delle facoltà critiche proprio per non perdere il vissuto della felicità, dell' ebbrezza, dell' essere "tornati a casa" dopo l’esilio della mancanza affettiva fin là vissuta (ed e' questa la fase di "fidanzamento" a cui si affianca di solito, quale elemento favorevole alla preservazione di tali vissuti, la prevalente lontananza fisica).

In questa fase si entra già nel rapporto d’interdipendenza in cui ciascuno soddisfa le aspettative dell’altro. Ma l’altro è me ed io soddisfo di buon grado le sue aspettative perchè, tanto, coincidono con le mie. Non mi costa nulla perchè quello che mi arriva è estremamente gratificante.

Ma, come diceva Nelli, è fase instabile. Dopo la fase dell’innamoramento subentra, se la storia prosegue, il senso pratico e i due optano in genere per la convivenza, fuori o dentro il matrimonio. A causa soprattutto di essa, si ritrovano prima o poi a fare i conti con l’abitudine (tolleranza, inflazione e assuefazione) , con la ripetizione dei gesti quotidiani condivisi nel matrimonio o nella convivenza. Nascono le insofferenze per le piccole e grandi diversità che il partner presenta rispetto alle proprie modalità di affrontare piccole e grandi situazioni. Cresce l’atteggiamento critico ma ci si ama ancora. Dalla iniziale accettazione incodizionata di soddisfarsi reciprocamente nelle reciproche aspettative, si passa ora ad una fase più rivendicativa. Si comincia a rivendicare e questo atteggiamento si accompagna ad una dolorosa, flebile percezione dell’altro come altro. Questo accade contro ogni volontà che, invece, per quanto può, tende a conservare l’idea dell’oggetto amato come oggetto ormai assimilato.

In quanto l’uno ama ancora l’altro, dunque lo sente dentro di sè, come parte sua (primo equivoco) , suppone che l’altro sappia precisamente cosa da lui si voglia (secondo equivoco) . La cosa è immaginata simmetrica. Ciò significa che ognuno suppone di dare all’altro quanto l’altro ha bisogno di ricevere.
Ciò implica che ciascuno presuma di sapere qual è il bene dell’altro semplicemente perchè pensa sia il bene suo. E sapendo in sè ciò che per se stessi si desidera ne consegue che viene ritenuto superfluo lo scambio dei reciproci vissuti. E così viene meno la necessaria comunicazione.
Non perchè non si voglia parlare, non perchè si voglia punire l’altro, non dunque per cattiva volontà ma semplicemente perchè si suppone che l’altro sappia precisamente ciò di cui l’uno ha bisogno.
Ma perchè tutto questo è successo? Perchè ciò che dovrebbe essere meta è diventato il presupposto: la capacità di sentirsi Uno, pur restando in due, viene presunta vera fin dall’inizio. L’obiettivo ambizioso ed evolutivo diventa, per la sua attuale falsità, l’origine di tutti i successivi equivoci e sofferenze.

L’illusione di sapersi Uno fa sì che si affermi il patologico e presunto "esercizio della lettura del pensiero": "Mi fai star male", "Non mi capisci", "lo sai benissimo come mi sento", ecc. sono frasi ordinarie su cui nessuno si sofferma a parte gli esperti della comunicazione e del "profondo" per riconoscerne tutta la patologia.

A questo punto della storia, quando pur non volendo si comincia comunque a percepire la differenza dell’uno dall’altro, accade che le migliori proiezioni, ovvero le parti migliori di noi proiettate sul partner al tempo dell’innamoramento, vengano ora, in condizioni critiche e di potenziale "deterioramento affettivo", sostituite con le peggiori proiezioni: si gettano addosso all’altro le nostre peggiori dinamiche.

Se a questo punto non si ha l’opportunità, la capacità di tornare a se stessi (questo sarebbe l’unico atteggiamento sano! ) la dinamica del degrado affettivo pare inevitabile. E i sentimenti negativi possono giungere all’apice nel vissuto di rigetto totale dell’altro, sia sul piano simbolico che su quello concreto.
I due possono a questo punto separarsi o restare formalmente insieme in un regime "contabile" in cui entrambi ci rimettono.

La forzatura e l’entropia economica si somatizza nel corpo familiare in astii e angherie, livori e vari sintomi personali (alcool, violenza, figli problematici come "sintomo designato", ecc.).

Un tal tipo di conclusione denota la totale assenza di lavoro coscienziale in se stessi e nel rapporto e la delega criminosa ad esso di tutte le aspettative e di tutti i problemi personali che, in quanto tali, non possono essere esportati fuori dal rapporto diretto del singolo con la Vita.

Per quanto massiccia e costante è rimasta tale impossibile e illusoria delega altrettanto rovinosa sarà la conclusione.

Potremmo genericamente sostenere che il rapporto basato sulle reciproche proiezioni, sulla assenza di comunicazione sulla lettura del pensiero, fa pensare a strutture di personalità immature e più precisamente narcisistiche. In sostanza non si èmai realmente dato l’incontro col diverso e quando questi ci viene incontro viene rigettato. In ciò viene persa la reale ricchezza che l’altro poteva fornirci, sempre che noi avessimo accettato di lavorare psicologicamente per poterla vedere e afferrare.

Estendendo il concetto d’innamoramento all’extra-umano, possiamo parlare di innamoramento anche verso un oggetto o un animale. Rispetto agli oggetti e, anche se meno, rispetto agli animali la dinamica è assai semplificata, s’intuisce, perchè l’oggetto sta fermo o l’animale, se ben addestrato, risponde alle aspettative. Insomma con essi non si va quasi mai incontro a "delusioni".

Accade però che delusioni si possano vivere anche nei confronti di oggetti amati astratti: una weltanschuung per esempio. Anche nei suoi confronti si può vivere dolore perchè, come tutte le cose, anche essa tende a cambiare. Si pensi al dolore per molti comunisti convinti nel vedere la caduta del comunismo come realtà già sperimentabile e come pensiero. Molte persone hann dovuto fare i conti con tutta la loro vita che a quell’idea si era indirizzata e aveva trovato senso.

In ogni caso gli oggetti, più delle persone, mantengono l’Io innamorato nella illusione dell’unità, della corrispondenza e dell’identità. L’oggetto permette tutte le proiezioni funzionali al "gonfiamento" egoico dell’innamorato.

Al di là dei copioni in cui esso si manifesta l’amore può dunque assumere, proprio per l’ordinamento edipico che segna la rigida e nevrotica separazione di ruoli (soggetto-oggetto, forte-bisognoso, attivo-passivo, ecc.), forme unilaterali:
-L’unilateralità dell’amore mistico: negazione dell’immanenza (il Sèriferimento) in un immediato godimento privato di Dio. Ma se è vero misticismo l’unilateralità, devo dire, risulta impossibile perchè nell’amore sinceramente mistico è recuperato l'Amore Universale.
-L’unilateralità dell’amore ideale: negazione del particolare, dell’oggettualità, della materia (l’idealismo volgare) .
-L’unilateralità dell’amore abnegante: negazione del proprio sè.
-L’unilateralità dell’amore oggettuale simbolico: negazione del valore strumentale come rifiuto della "fatica del vivere". Corrisponde, nella hegeliana dialettica del servo e del padrone, all’atteggiamento del "padrone" che sfrutta il lavoro del servo senza mai confrontarsi con esso.
-L’unilateralità dell’amore strumentale: negazione dell’eros, della conoscenza e del simbolo. Corrisponde, sempre nella metafora hegeliana, all’atteggiamento del "servo" che non riesce a recuperare la conoscenza e il valore insiti nel suo lavoro e nei suoi strumenti, privandoli della creatività che li genera e fissandosi, perlappunto, sul loro uso strumentale.
-L’unilateralità dell’amore tra due persone: l’esclusione del resto del mondo e, come abbiamo avuto modo di verificare, l’esclusione della vita reale dell’amato.

Non è dato a noi di "sceglierci" la forma migliore dell’amore. L’amore si costruisce attraverso la maggiore consapevolezza delle Ombre. Il mondo, dunque, cresce, anche grazie alle Ombre.

Al di là di esse, l’amore è l’esperienza attraverso cui l’uomo cerca l’integrazione col tutto. Non si ama un oggetto o una persona ma "si ama l’Amore". In questa diffusa espressione si cela l’amore dell’essere per l’essere in un dialogo che giunge a coscienza attraverso l’uomo. E’ a questo livello che tutte le opposizioni sono tolte e possono essere recuperate tutte le forme e i copioni dell’amore senza cadere intrappolati in nessuno di essi perche li si sa come le tante manifestazioni di un’unica dinamica universale.

La necessità che pare emergere dall’analisi dei limiti e delle Ombre dell’amore sembra essere il recupero dell’amore stesso su basi più coscienziali sottraendolo, per quanto possibile, al "regno della natura", dunque dell’inconscio.

L’educazione dell’amore e la riduzione delle tendenze paranoiche, ormai non più funzionali, sono tutt’uno e tolgono l’amore all’immediatezza, al "cuore", alla passione intesa come pulsione viscerale e istintuale, tanto cara alla tradizione romantica.
In un sogno:

>Dopo aver espulso il proprio cuore, la sognatrice ha il compito di scalare una montagna in cima alla quale dovrà depositare, insieme al cuore espulso, un foglio scritto con calligrafia infantile.Ella sa che il cuore verrà divorato dagli uccelli ma confida, ed è la cosa importante, che ciò salvi il foglio scritto.<

A questo punto si fa sempre più evidente l’equivalenza eros/logos, amore e conoscenza. Se l’amore risulta "cieco", e come tale distruttore ed entropico, esso non può essere ritenuto cosa evolutiva e positiva per l’umano mondo.
L’amore ha senso ed è importante se si fa nutrimento per lo Spirito (nel sogno gli uccelli) ed occorre sacrificarlo nel suo versante meramente privato ed egoico.
Concludiamo con P.T. de Chardin che a questo proposito così si esprime:
"Con l’amore dell’Uomo per il partner, per i figli, per gli amici, noi immaginiamo spesso di aver esaurito le diverse forme naturali dell’amore. Ora, da questa lista è precisamente assente la forma di passione più fondamentale: quella che precipita l’uno sull’altro gli elementi del Tutto, sotto la pressione di un Universo che si richiude su se stesso. L’affinità cosmica e, pertanto, il senso cosmico.

Un amore universale: non solo è una cosa psicologicamente possibile, ma è per di più l’unico modo completo e definitivo di amare".

1 Luglio 1994

Bibliografia: T. de Chardin "Sull'Amore" - Ed. Queriniana

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