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N° 06 Laura Ottonello

Laura Ottonello

 CONFERENZE 

IL NEMICO UTILE

Il valore della lotta e della contrapposizione.

Vorrei iniziare focalizzando il paradigma dell’opposizione buono-cattivo che, in modo ricorrente, intesse le trame di molte storie.
La contrapposizione tra un elemento "buono" e di uno "cattivo" è presente ovunque, sia nella letteratura che nella cinemotografia; il più delle volte, è sempre il buono a prevalere, a vincere e a concludere l’esito del racconto.
Realisticamente molto più cruda è la realtà in cui ci troviamo calati, non solo nella nostra cultura occidentale, ma un po' ovunque: assistiamo perplessi allo scontro frontale e aperto tra fazioni opposte.
Basti pensare alla politica italiana o alle numerose guerre e guerriglie sparse in tutto il mondo scatenate, per lo più, da motivi religiosi (Bosnia, mondo islamico, India, paesi orientali, Africa, ecc.) .
Al di là delle letture che si possono avanzare a più livelli (sociologiche, politiche, economiche o altro) che non rientrano nei nostri interessi, almeno in questo contesto, ciò che sembra chiara è la dinamica, cioè lo scontro e l’assoluta inconciliabilità tra idee, razze, opinioni e fazioni diverse.
L’idea prevalente (e la forza catturante) di ogni individuo o gruppo contendente si assurge a valore assoluto, a verità intoccabile, e si oppone, anche in modo estremo, a ciò che costituisce l’universo dell’altro contendente, come se la realtà fosse univoca e cristallizzata in un’unica, monolitica visione.
Ancora una volta, come già menzionato nel corso di altre conferenze, si assiste impotenti al risultato, catastrofico per l’umanità, del pensiero oggettivante che tende a dividere ciò che invece costituisce un’unica realtà e tende a scindere e a portare fuori dell’uomo qualcosa che invece gli appartiene.
E’ proprio degli organismi politici vedere il male presso gli altri, così come è caratteristica dell’individuo la tendenza, quasi insdradicabile, di liberarsi da ciò che non sa o non vuole sapere, affibiandolo agli altri.
Un enorme paradosso che si dà nell’uomo moderno è quello che riguarda i due fondamentali aspetti umani, vale a dire la coscienza e l’inconscio.
Così come siamo testimoni di una straordinaria evoluzione della conoscenza, basti pensare alle enormi scoperte scientifiche ed alle trasformazioni che l’uomo ha saputo compiere sulla natura per migliorare la qualità della vita, allo stesso tempo, purtroppo, siamo testimoni dell’enorme ferocia, dell’abbruttimento e della primitività con cui l’uomo aggredisce il suo simile (è cronaca di ogni giorno) .
Il sistema psichico, inteso come una totalità energetica comprensiva di inconscio e coscienza, è un sistema che ha bisogno dell’interazione tra le due istanze, per cui, laddove una parte (l’inconscio) resta inascoltata, alienata e rimossa, per una legge di compensazione, tende ad irrompere nell’altra parte, cioè la coscienza in modo coatto e con effetti molto violenti, tanto più devastanti e immediati quanto più è rimossa.
La coscienza dell’uomo, che può essere definito un animale simbolico, ha origini assai recenti rispetto all’inconscio che costituisce il fondamento e la matrice della coscienza stessa. In quella che possiamo definire la genesi del sistema coscienziale, dobbiamo distinguere tre fasi.
Nella fase iniziale è l’Uroboro rappresentato dalla classica immagine del serpente che si mangia la coda: è presente il tutto indifferenziato e coesistono, senza tensione, entrambi gli opposti.
E’ il mito dell’Eden; è l’Essere primordiale in forma di Androgino.
Quando l’Io comincia ad emergere dal brodo primordiale si ha il preludio della coscienza: coincide con la divisione in due principi opposti e si struttura il sistema conoscitivo umano con la separazione tra il creatore e le sue creature, tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto, tra spirito e materia e così via.
Nel raccontare la genesi del mondo la coscienza umana racconta la propria genesi: è il costituirsi del sistema antinomico. E’ la autocoscienza consentita dalla separazione.
Questa è la fase del numero due: L’Essere, l’Uno, l’Assoluto si scinde in due dando luogo all’oggettualità, la materia tutta che forma il mondo (compresa la conoscenza che l’uomo fa del mondo e di se stesso) .
Tutti i miti cosmogonici narrano l’origine della vita secondo questa originaria separazione: Dio che crea, separando sè, il mondo, l’uovo cosmico che si spacca in due, ecc.
Tutte le cosmogonie forniscono informazioni sull’uomo e sui suoi modi di concepire l’irruzione dell’Essere e della vita. Traducono, nel linguaggio dell’inconscio, un sentimento universale di trascendenza.
L’uscita dallo stato iniziale di totale indifferenziazione coincide con la discesa nel mondo inferiore della realtà piena di pericoli e sofferenze. L’Io comincia a percepire, e quindi a sperimentare su di sè, le sensazioni opposte di piacere e dolore; il mondo diventa così ambivalente.
Nel cristianesimo il primo antagonista del Creatore è il serpente che induce l’uomo alla disobbedienza con la promessa di un’accresciuta consapevolezza.
Nello spazio mentale del primitivo la vita è piena di incertezze e lo strapotere demoniaco di ciò che noi oggi chiamiamo mondo esterno, con la malattia, la morte, la fame e le catastrofi naturali, è accresciuto dalla fusione con il mondo interno.
L’uomo si ritrova, quindi, nettamente separato dalla fonte, cioè dal creatore, dall’Essere, dall’Inconscio, diremo noi traducendo il mito della genesi in un linguaggio psicoanalitico.
E si ritrova, suo malgrado, costretto ad affrontare non solo l’incognita del mondo esterno, che è ancora tutto da scoprire, ma, soprattutto, in balìa delle forze pulsionali che premono dal suo mondo interno.
Il due, infatti, è il luogo della diversità: c’è il maschio e la femmina, il bene e il male, la vita e la morte il giusto e l’ingiusto e così via.
La caduta degli Angeli, che diventano potenze luciferine, simbolicamente rappresentano l’invasione del mondo umano da parte dei contenuti inconsci, è il primo incontro con il "Maligno".
Nel due la conflittualità è irresolvibile, non può esserci che opposizione, pena la ricaduta nel tutto indifferenziato.
Tuttavia, questa prima e fisiologica distinzione porta in sè, intrinsecamente, la necessità di un dialogo tra le due parti poichè, sebbene l’evoluzione della coscienza possa procedere solo grazie alla progressiva emancipazione dall’abbraccio soffocante dell’inconscio, tuttavia, un allargamento e una stabilizzazione sempre maggiore della coscienza stessa può aversi solo ritornando, ogni volta, all’Inconscio, cioè a quella dimensione primitiva, a quella totalità che tutto contiene.
Il passaggio successivo è dunque quello che riguarda in numero tre: è il risultato dell’incontro dialettico tra i due poli contrapposti che si sviluppa attraverso un dialogo tra coscienza e inconscio.
La figura del Cristo incarna simbolicamente questa sintesi: Cristo, infatti, è contemporaneamente umano e divino.
Lo sviluppo della coscienza si attua attraverso il viaggio dell’eroe che, dovendo affrontare, anche a costo della vita, ogni tipo di rischio, così come viene espresso in moltissime mitologie delle varie culture, ritorna nel mondo per portare all’umanità sempre nuove possibilità di esistenza e sempre nuove consapevolezze.
La lotta per la liberazione è la battaglia contro il drago, è l’entrata nelle viscere della terra o nella pancia della balena: qualunque sia l’immagine, il significato è analogo: il trionfo della coscienza può avvenire solo quando ha dominato ed assimilato l’Ombra, cioè le tendenze regressive dell’Inconscio, quella stessa dimensione inglobante ed informe da cui, con tanta fatica, è emerso.
Anche oggi la dinamica è la stessa; l’Inconscio può assumere, di volta in volta, vari nomi, a seconda delle situazioni in cui si incarna: se nella mitologia può essere Cronos che divora i suoi figli, nella favola è l’orco, nella leggenda il mostro, per l’uomo moderno è l’Ombra lo straniero, l’extraterrestre, l’ignoto, il nuovo, il buio...
Il cammino percorso dall’umanità è un’esperienza che si ripete in ciascuno quando l’Io del bambino, dopo la fase simbiotica, comincia a differenziarsi.
Il non-Io, contrapposto all’Io, non è solo il mondo esterno e l’altro empirico (la madre da cui si separa) ma, soprattutto è il suo mondo interno che, con le sue pulsioni crea uno stato di tensione e di conflittualità.
Il bambino impara gradualmente a riconoscere e a separare il suo mondo interno da quello esterno e, attraverso l’esperienza, impara a portar dentro le coppie antinomiche dando luogo a nuovi spazi mentali, nuove possibilità e ad un processo di sintesi crescente.
L’Io, per strutturarsi, deve dunque imparare soprattutto a prendere distanza dalle pulsioni interne che agiscono in lui in modo coercitivo, La mediazione simbolica è lo strumento che l’uomo ha a disposizione per poter far questo.
La coscienza è un’acquisizione molto recente e sbagliano coloro i quali credono di poter afferrare le cose con la sola ragione e di poter sempre controllare la realtà.
Cito un sogno, al proposito:

La sognatrice va incontro al suo amore, avviandosi per una foresta oscura. Lo incontra, è un uomo nero che, pur amandola, le usa violenza. Questo per farle capire che non è stata lei a sceglierlo, ma il contrario.

Queste ultime parole mi rimandano ad un passo del Vangelo di Giovanni in cui Cristo, poco prima di morire, dice a i suoi discepoli: " Non siete voi che avete scelto me, ma io che ho scelto voi e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo." Tale messaggio implica una grande responsabilità cui viene investito l’Uomo poichè gli ostacoli che sono stati di Dio fattosi uomo appartengono a tutti coloro che seguono la sua via; i discepoli hanno lo stesso destino di Cristo.
Non solo l’Io è fragile e rischia ancora la frammentazione; non dobbiamo dimenticare che l’Ego, cui spesso si attribuisce un potere assoluto, costituisce solo una parte di quella totalità che è il sistema psichico.
I popoli primitivi, se da una parte sono ben distanti da quella condizione che noi, oggi, definiamo coscienza, dall’altra mostrano, con la loro partecipation mistique, (Levy Brhul) un contatto animistico con la natura che l’uomo moderno ha perso da tempo.
La cosiddetta "coscienza civilizzata" si è nettamente separata dagli istinti senza però che questi siano scomparsi. Essi hanno perduto ogni contatto con l’intera personalità e sono quindi costretti ad affermarsi in maniera indiretta provocando malesseri esistenziali, sintomi nevrotici o spaventosi effetti di massa.
Nella mitologia primitiva queste forze erano chiamate mana, ovvero spiriti, demoni o divinità. Tali forze inconsce sono altrettanto attive oggi quanto lo erano in passato, solo che oggi hanno cambiato nome e l’uomo, pur avendo a disposizione gli strumenti coscienziali, non vuol cedere il potere del controllo egoico.
L’uomo che si disancora dai miti e dai simboli archetipici si ritrova alla mercè del mondo sotterraneo della psiche, alla mercè di quelle stesse forze che ha rinnegato. E’ la perdita dell’anima dei primitivi, una sorta di schizofrenia che fa perdere all’individuo il senso dell’interezza e della gruppalità, e produce disorientamento e dissociazione.
Quanto più si è sviluppata la conoscenza scientifica, tanto più il mondo si è disumanizzato: l’uomo si sente isolato, alienato, poichè non è più inserito nella natura ed ha perduto la sua "identità inconscia" emotiva con i fenomeni naturali.
I simboli sono un prodotto della mente umana per esprimere, da sempre, contenuti psichici profondi e universali o verità eterne che compaiono tuttora in molte religioni. Essi, pur subendo molte trasformazioni nel corso dell’evoluzione, continuano a possedere una grande forza numinosa, per questo, quando entrano nei nostri sogni ci turbano.
Nel corso delle varie epoche i popoli hanno avuto una conoscenza intuitiva di quel centro ordinatore della vita psichica che Jung ha definito Sè.
In Egitto trovava espressione nel concetto dell’anima di Ba, i greci lo chiamavano il daimon interiore dell’uomo, e i romani lo veneravano come il genius innato di ogni individuo.
Nelle società primitive assumeva l’aspetto di uno spirito protettore, incorporato in un animale o in un feticcio.
L’uomo moderno ha saputo trasformare la natura in modo stupefacente, ha saputo spaziare in tutti i campi dello scibile umano, è penetrato nei più nascosti anfratti della materia, ha sondato il cosmo ed esplorato altri pianeti, ma, pur essendo, la coscienza, il suo bene più prezioso in senso assoluto poichè è la coscienza che l’ha portato sin qui, ha rafforzato molto pericolosamente un atteggiamento unilaterale di arido razionalismo.
Senza accorgersene, lo spirito umano si è ingoiato i demoni sui quali, apparentemente, aveva trionfato ma, in tal modo, ne è diventato vittima. Eliminando i demoni e svuotandoli del loro significato più profondo, l’uomo ha trascurato che essi sono delle proiezioni, ossia i prodotti della psiche stessa, e che, in quanto tali, essi sono indispensabili, gli appartengono.
Si è liberato dalla superstizione, ma, contemporaneamente, è andato perdendo i suoi valori spirituali.
Lo gnostico Basilide vedeva la fine dell’uomo nella sua perdita della spiritualità: " La fine dell’uomo, nel momento in cui egli rappresenti unicamente la carne. Egli rischia così di perdere la sua immortalità." Il cristiano, se da una parte non è più in grado di accettare un dogma divenuto anacronistico per la coscienza moderna, dall’altra non ha ancora riconosciuto che la compresenza degli opposti dell’immagine divina appartiene all’uomo che è creatore e creatura al tempo stesso, poichè l’immaginario mitologico, e quindi anche i miti cosmogonici, sono proiezioni dell’Inconscio, rappresentazioni del profondo dell’anima.
L’uomo quindi sa già che la metà oscura dell’immagine divina, che è il maligno, Lucifero o l’inferno non è altro da quello stesso Dio che è luce.
L’accentuazione e l’accecata fedeltà ad un atteggiamento intellettualistico ha contribuito a mantenere e irrigidire la netta contrapposizione tra coscienza e inconscio, in sintonia con la modalità del pensiero oggettivante tipica del metodo scientifico.
"L’immaginario mitologico e religioso - scrive Jung costituisce una sorta di proiezione pubblica su uno schermo universale, serve a fini positivi, favorisce e incoraggia la vita, sostiene l’uomo e lo innalza ad un livello sovrapersonale".
Per questo i miti non potranno mai essere sostituiti dalle scoperte della scienza ed è assurdo tentare di confutarli empiricamente.
Vorrei ora tornare a porre l’attenzione sulla figura del nemico, sulla guerra e la lotta, per ripercorrere, brevemente, le tappe mitologiche che accompagnano, da sempre, un’innata tendenza umana.
Lo stesso C. Darwin asserisce che, nella lotta universale per la sopravvivenza, hanno potuto resistere solo quei popoli che hanno accettato e reso propria la natura violenta della vita.
Una mitologia affermativa della vita deve tener conto di questo apparente paradosso: le mitologie di guerra, infatti, sono più numerose di quelle di pace.
Nelle culture primitive i popoli, generalmente dediti alla caccia, sono anche valorosi guerrieri; la battaglia e la guerra sono considerate una vera e propria arte, in Occidente come in Oriente.
I riti e le mitologie di queste tribù si basano sull’idea che la morte, contrariamente a come viene vissuta dall’uomo moderno (o meglio non-vissuta, in quanto da noi la morte è esorcizzata, rimossa o negata del tutto) , non esiste: il ciclo vitale è continuo; ogni morte segue una rinascita, come il simbolismo delle varie metafore (miti, fiabe, religioni, alchimia ecc.) .
Così, gli animali cacciati il cui sangue versato è restituito alla Madre Terra per farlo rinascere, sono considerati vittime consenzienti.
Oppure i rituali che vengono osservati dopo un’azione guerresca per placare gli spiriti e inviare e inviare alla Terra i fantasmi di coloro che sono stati uccisi.
Non tutti i popoli primitivi sono guerrieri. Tuttavia, pur guardando a quelle popolazioni dei tropici che sono vegetariane, restiamo sorpresi dal fatto che, anche qui, il tema mitologico dominante sostiene che la vita possa essere accresciuta attraverso le uccisioni.
Anche nel pacifico Oriente le mitologie di guerra non mancano. Qui la lotta è intimamente legata al buon governo ed ha la funzione di incoraggiare il giovane sovrano afflitto dagli scrupoli.
Nel campo dell’azione, che è la vita, non vi è pace nè ve ne potrà mai essere. Quindi si deve agire poichè è nostro dovere, ma con DISTACCO.
L’idea della morte è superata dal concetto di rinascita poichè " L’Essere Supremo (nell’uomo) rimane per sempre uguale e identico... trovandosi in ogni corpo, non sarà mai ucciso." (Bhagavad Gita) .
Anche nel Tao l’idea portante è che vita e morte, uomini, animali e cose costituiscono il Tutto vivente.
Sono concetti molto importanti vista la logica prevalente, cieca e personalistica, di attacco al nemico.
L’uomo moderno sembra aver tranciato le sue radici e i legami con le tradizioni del passato.
Ben lontano da un vissuto di totalità e di appartenenza, si è sradicato dalla sua natura umana e ha perso il valore e il senso dell’esistenza. "Esperire la vita senza coglierne il senso è come essere malati" scrive Jung, ed io sono d’accordo.
La lotta, il conflitto e l’antagonismo hanno perso quelle prerogative che rendevano sacro, in passato, lo scontro e l’introiezione dell’antagonista quale degno avversario.
Se guardiamo ai popoli selvaggi, è un errore attribuir loro atteggiamenti di sfrenata ed impietosa crudeltà verso i loro nemici. Freud ha studiato i comportamenti di alcune tribù primitive. Benchè non siano informazioni complete, si tratta di usi largamente diffusi e non di fenomeni isolati.
Nella cultura guerresca dell’isola di Timor, ad es., vengono rispettate alcune prescrizioni che impongono la riconciliazione col nemico ucciso.
Dopo la spedizione guerresca il capo va incontro a delle limitazioni molto severe, come, ad es., quella di rimanere isolato per due mesi, per purificarsi corporalmente e spiritualmente prima di rientrare nel villaggio. (evitare alcuni cibi, lontano dalle donne, dai compagni ecc.) Alcuni popoli (i cacciatori di teste del Borneo) trasformano i loro nemici, dopo la morte, in amici, custodi e protettori.
Il modo consiste nel trattare con molto riguardo le teste tagliate che, per mesi, vengono conservate e accudite amorevolmente, con le attenzioni che si riservano agli ospiti. (vengono imboccati, si discute con loro ecc.) Alcune tribù degli indiani d’America, una volta terminato il lutto per i loro morti, prendevano il lutto per il nemico, come se si fosse trattato di un loro familiare.
"Da tutti questi cerimoniali - osserva Freud - vediamo che nel comportamento verso i nemici, sono presenti espressioni di pentimento, di stima e di cattiva coscienza per averlo privato della vita, nonchè il bisogno di riconciliarsi e di essere perdonato".
Nella nostra cultura il nemico è davvero qualcuno (o qualcosa) che colpisce i nostri interessi e ci attacca personalisticamente; quel nemico diventa allora "utile" in quanto ci fornisce l’alibi per sbarazzarci senza tanta fatica di qualcosa che invece ci appartiene.
Tanto meno vogliamo vedere dentro di noi, tanto più violenta, immediata e incontrollata è la reazione.
Il fenomeno della proiezione diventa allora un processo molto pericoloso, soprattutto quando, così come investe un individuo, cattura intere masse. L’umanità non dovrà mai dimenticare l’olocausto dei nazisti.
Tutt’oggi, moltissime atrocità vengono consumate sotto gli occhi di un pubblico tanto responsabile quanto passivo e "assuefatto".
Quella ferocia e quell’arcaicità, più che farmi pensare all’istintualità dell’uomo primitivo che pure è in contatto con la sacralità della vita, mi rimanda ad un totale obnubilamento della coscienza, una coscienza tanto grande quanto grande è l’Ombra non vista.
E’ l’inconscio ad irrompere quando l’uomo non vuole compiere il sacrificio della sua onnipotenza e non vuole arrendersi alla lacerante contraddittorietà della vita.
Il male, quale necessario ed inevitabile complemento del bene, rientra in quella dimensione più ampia e totalizzante che è il Sè.
E’ innegabile che siamo tutti contaminati dal male, qualunque sia il nostro atteggiamento cosciente.
Rinnegare il lato ombroso significa rimuovere un lato della vita poichè alla luce segue l’Ombra, l’altra faccia di Dio.
Una volta riconosciuto questo, il bene e il male perdono il loro carattere assoluto e soggiacere all’uno o all’altro è sempre pericoloso poichè l’unilateralità è come una sorta di intossicazione psichica, ed è sempre un male.
Ci accorgiamo allora che si tratta sempre di un giudizio e, vista la fallibilità dell’uomo, ci accorgiamo che è facile cadere in errori di giudizio.
Il riconoscimento della propria realtà interiore, che coincide con il riconoscimento della realtà sociale, relativizza sia il bene che il male trasformando entrambi nelle due metà di un contrasto i cui termini formano un tutto paradossale.
Per questo, spesso, la decisione morale diventa un fatto soggettivo, un atto creativo di libertà. Tuttavia, l’uomo tormentato da un conflitto morale preferisce, il più delle volte, proprio per non guardarsi dentro, delegare un potere esterno che decida per lui.
Il male, spesso, è rifiutato, altre volte invece ci si identifica con esso. Dovremmo imparare a farci i conti perchè oggi la coscienza può com-prendere (nel senso etimologico di prendere-insieme) che le cose che vediamo fuori sono le stesse che abbiamo dentro e che la realtà, vista e vissuta attraverso le sole immagini esterne è un’illusione.
L’atteggiamento egoico dell’uomo moderno di voler essere "simile a Dio" non lo rende divino, ma arrogante e risveglia tutto il male che c’è in lui, almeno se non fa lo sforzo di porsi in maniera dialettica di fronte alla vita.
Infatti, nel momento in cui le forze in conflitto vengono restituite al soggetto, questi può convertirle nel loro contrario e far sì che la situazione evolva: è la trasformazione dell’Ombra.
Ognuno ha il compito di scoprire ed elaborare il male che può diventare più sopportabile poichè, in una visione universale, diventa il male della vita stessa: ecco il lato divino dell’Uomo.
In caso contrario l’uomo resta nella rimozione e nell’unilateralità per cui l’esito di ogni suo gesto non può che essere involutivo se non addirittura distruttivo per l’umanità.
C’è un sogno al proposito, che è molto crudo:

All’ultimo piano di un palazzo, su un terrazzo senza ringhiere, c’è una grande massa di maiali che si aggrediscono l’un l’altro. Non realizzando che manca la protezione del contenimento, durante la lotta, moltissimi cadono di sotto, schiantandosi. La sognatrice, che guarda la scena dal palazzo di fronte, sa che al piano terreno di quello stabile abita un bambino, cui lei tiene molto e si preoccupa della sua incolumità. Per fortuna, dopo aver indagato, viene a scoprire che è sano e salvo.

Questo sogno, tra le varie letture che presenta, può essere letto anche come una feroce denuncia a quella parte di umanità che, senza impegnarsi responsabilmente, in prima persona, si è appropriata in modo indebito del lavoro coscienziale svolto dall’umanità.
"Andare in alto" senza poterlo fare, infatti, non solo è assurdo ma è addirittura fatale. Mancando il contenimento si dà solo pura istintualità irriflessiva.
Un atteggiamento pretenzioso ed arrogante nei confronti della vita è sinonimo di un’oralitá fine a se stessa (i maiali) , è il consumo vorace e personalistico.
Ma il bambino (che è il progetto, la coscienza, il Sè, la vita stessa) non resta schiacciato dall’orda primitiva che questi maiali rappresentano, e si salva: il pensiero cresce e continua a vivere comunque.
Vorrei portare infine un altro sogno che illustra bene qual’è il valore evolutivo del limite, sia esso incarnato nel nemico "empirico" o nel sintomo quale aspetto interiore che tiranneggia, o qualunque altra cosa.

La sognatrice sa che in una buia stradina che porta a casa sua c’è un maniaco che violenta le donne. Vincendo la paura, decide di passare in quel luogo pericoloso e così lo incontra. L’uomo è fermo in mezzo alla strada, nel buio, e tiene in mano una torcia che lo illumina dalla cintola in su: Guardando la sognatrice le dice: "Guardami, perchè io sono il tuo limite."

Ora che la sognatrice ha visto in faccia il suo nemico può cominciare a conoscerlo e così entrare finalmente in casa sua...

Genova 20 Gennaio 1995

Laura Ottonello


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