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Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Settembre 1993 Pag. 11° Agnese Galotti

Agnese Galotti

 MITI E LEGGENDE 

ALCESTI: IL DONO DI SÈ

Admeto nel dramma di Euripide è persona pia, giusta e di proverbiale ospitalità.

Dopo millenni di "contrapposizione tribale" contrassegnata dalla paranoica diffidenza verso l' estraneo, era quella l’epoca del "risveglio".
L’epoca in cui la coscienza umana segnava una nuova tappa della sua evoluzione strutturandosi intorno "all’apertura al diverso" ed alla "consapevolezza della morte".
Questi sono i temi tra i quali si dibatte il povero Admeto, simbolo di questa coscienza emergente ancora disperatamente arroccata nel tentativo di rimuovere il proprio limite mortale (la propria definizione temporale).
L’ospitalità di Admeto, rappresenta bene l’"apertura al diverso" espressa in maniera concretistica e non ancora elaborata nella consapevolezza del suo valore simbolico.
D'altra parte nel processo primitivo di coscientizzazione, l'esercizio, prima concretistico e poi ritualizzato, del gesto precede sempre l'acquisizione del suo valore simbolico.
Paradossalmente nel dramma di Euripide sembra proprio questa modalità arcaica (cioè l'ospitalità ritualizzata) ciò che viene "premiata" dal Dio. E così Admeto può esorcizzare la propria morte e cullarsi nell’illusione di poter maturare una coscienza nella completa rimozione dei propri limiti.
Ma il premio non risulterà gratuito nè fine a se stesso (nessuna scorciatoia è concessa lungo la strada della conoscenza!). Esso si svelerà alla fine lo strumento attraverso il quale Admeto, mercè il sacrificio dell’amata, è costretto ad incontrare proprio ciò che cercava di allontanare.
E così, ben diversa sarà l’ospitalità di Admeto in lutto! Essa, elaborata nell'acquisita accettazione della morte, rappresenta finalmente l’apertura al diverso maturata, questa volta, nella consapevolezza dei propri limiti terreni.
Sull’ara sacrificale sale ora l’innocenza perduta di Admeto e questa nuova morte simbolica opera il miracolo.
Il sacrificio di Alcesti partorisce la nuova coscienza di Admeto.
E la coscienza di Admeto, attraverso il sacrificio della propria illusoria immortalità, rende la vita ad Alcesti che torna a lui, temporaneamente muta: quasi un rispetto, un sacro silenzio, prima che possa affiorare la nuova Parola.
Ma cosa rappresenta il sacrificio di Alcesti? Possiamo rileggere il mito in termini di dinamica intrapsichica. La coscienza di Admeto, nella paura della morte, si imbatte nel suo proprio limite: oltre, la vista gli è impedita.
Alcesti allora è l’Anima, quell’aspetto che, pur umano, ha un contatto - ancora tutto inconscio - con l’origine della vita e con la stessa morte: è la detentrice della forza dell’Eros, a cui non può essere estraneo ciò che l’uomo da sempre attribuisce agli Dei.
Admeto stesso, per conquistare la sua Anima, ovvero Alcesti, aveva soggiogato il verro e il leone al carro della sua futura sposa. E già in quel gesto rintracciamo l'avvio della trasformazione dell'energia la quale non si fa disponibile alla coscienza se non attraverso il contenimento sia del suo lato regale (il leone) che del suo lato animale (il verro).
Questa energia che Alcesti incarna resta tuttavia ancora inconsapevole di sè: è come permanesse un diaframma che separa i due e che non consente alla coscienza di "comprendere" in sè tutto quanto nel "sentire" dell’Anima è già contenuto.
Ma qualcosa spinge per sfondare questa divisione, affinchè sia realizzata una nuova e più unitaria consapevolezza che sposti la coscienza verso un ulteriore grado di libertà e dunque che trasformi il potenziale in atto.
L’Anima che sperimenta la grandezza dell’amore, non può più accettare che resti inconscia la verità di cui essa è portatrice e che la spinge oltre quella soglia che la coscienza ancora non varca, oltre la morte, e per questo non può che giungere all’estremo sacrificio di sè.
Il sacrificio di Alcesti, quale sacrificio dell’Anima, consente ad Admeto di fare egli stesso l’esperienza tanto temuta della morte, e grazie a questo avviene in lui la trasformazione.
La coscienza si fa così accogliente di quanto prima era allontanato, accoglie in sè ciò che l’esperienza dell’amore già portava e lo trasforma in consapevolezza.
Admeto accoglie quindi in sè Alcesti.

Deve morire Admeto. Quando? Adesso.
Ma egli ruppe la scorza del dolore
in pezzi e ne distese alte le mani,
come per trattenere il dio fuggente.
Anni chiedeva, solo un anno ancora
di giovinezza, mesi, pochi giorni,
ah, non giorni, ma notti, una soltanto,
solo una notte, questa notte: questa.
Il dio negava. Gridò allora Admeto,
gridò vani richiami a lui, gridò,
come gridò sua madre al nascimento.
...........
(rifiutano di offrirsi al suo posto i vecchi genitori e gli amici. Si fa avanti Alcesti)
Allora tacque, e chi venne fu lei,
esile forse più di prima e lieve
e mesta nella sua veste nuziale.
Gli altri non sono che la strada a lei
che viene, viene...e subito sarà
tra le braccia che s'aprono al dolore.
Ma Admeto attende ed ella non a lui
si volge. Parla al dio che la comprende,
e tutti la comprendono nel dio.

Agnese Galotti


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