Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
Direttore : Dott. Ada Cortese
Via Palestro 19/8 - 16122 Genova - Tel. 010-888822 Cell 3395407999

Home Anno 4° N° 14
Dicembre 1995 Pag. 6° Agnese Galotti

Agnese Galotti

 MITI E LEGGENDE 

LA SFINGE

"Il mio sguardo che nulla può deviare rimane teso, attraverso le cose, verso un orizzonte inaccessibile."

Bisogna distinguere fra due sfingi: quella egizia e quella greca, che rimandano a significati simbolici assai diversi.
La sfinge dei monumenti egizi (che Erodoto chiama androsfinge, per distinguerla da quella greca) è un leone accovacciato, con testa d’uomo; rappresentava, si congettura, l’autorità del re, e custodiva i sepolcri e i templi.
La sfinge greca ha testa e petto di donna, ali d’uccello, corpo e piedi di leone. Altri le attribuiscono corpo di cane e coda di serpente. Dicono che desolasse la regione di Tebe, proponendo enigmi agli uomini (poichè aveva voce umana) e divorando quelli che non sapevano risolverli.
Anche la posizione varia nelle due culture: la sfinge egizia è distesa sulla pancia, spesso con le zampe anteriori in posizione di offerta, mentre quella greca sta seduta sulle zampe posteriori, col busto eretto e le mammelle sporgenti.
Gli Egizi la indicavano sotto il nome di Shespankh, parola che significa in primo luogo "statua vivente", con quel misto di slancio potente e di immobilità estrema, quasi le molecole del suo granito vibrassero interiormente.
Posta sovente alle porte delle gigantesche metropoli, essa è "guardiana delle soglie proibite e delle mummie reali. Ascolta il canto dei pianeti, veglia sul limitare dell’eternità, su tutto ciò che è stato e che sarà. Vede scorrere in lontananza i Nili celesti e navigare le barche del sole." (da "Il libro dei morti") .
La sfinge di el-Giza, la più antica, nacque per sorvegliare la porta occidentale del santuario, dalla quale se ne vanno il sole e i morti.
In tal contesto, dunque, la sfinge è simbolo strettamente connesso alla morte, al passaggio ad un mondo al di là: il suo sguardo "ha qualcosa di feroce nell’estasi e dà la sensazione del vuoto. Va diritto davanti a sè, ma in una direzione che non appartiene allo spazio, che non è di questo." Per gli Egizi dunque essa esprimeva più la serenità del sapere che l’angoscia che le attribuirà la successiva tradizione ellenica; essa, più che all’insolubile enigma della vita, rimanda al punto d’origine: "si erge all’origine della storia come un’affermazione assoluta".
La sfinge greca, invece, non è più il guardiano delle porte dell’infinito, bensì diventa una specie di mostro terribile, più crudele che enigmatico, nel quale si può facilmente vedere il simbolo della femminilità perversa e pericolosa.
Nella tradizione mitologica della Grecia antica la sfinge è figlia di Echidna, essere ibrido mezzo fanciulla e mezzo serpente, madre di esseri mostruosi quali la Chimera, Scilla, la Gorgone, Cerbero, il Cane Ortro ecc.
Frutto dell’accoppiamento incestuoso tra Echidna ed Ortro, la sfinge verrà conosciuta, grazie a Freud, quale simbolo dell’inconscia pulsione incestuosa presente nell’uomo.
Divenuta famosa grazie al mito di Edipo, ancora oggi uno dei cardini del pensiero psicoanalitico, la sfinge è la portatrice dell’enigma che causa la morte di chi non lo risolve, simbolo della dissolutezza e del dominio perverso: essa fu mandata da Era contro la città di Tebe per punire il re Laio, colpevole d’omosessualità.
Essa può essere sconfitta solo dall’intelletto, dalla sagacia, in contrapposizione con l’istupidimento ottuso.
Aderisce indissolubilmente alla roccia sulla quale poggia: ha ali ma non vola. E’ destinata a sprofondare nell’abisso nel quale si getta, infine, suicida.
Lungi dall’esprimere la certezza affermativa, seppure misteriosa della Shespankh egizia, la Sphynge greca, femminilizzata, diviene simbolo della vanità tirannica e distruttiva.
Jung ne ha sottolineato gli aspetti legati all’archetipo della madre nella sua valenza negativa, aspetti con cui ciascun soggetto umano, per divenire tale, deve potersi confrontare, che non devono essere sottovalutati nè sminuiti: rappresentano per ciascuno la "grande prova" per divenire adulti.
"La sfinge è una rappresentazione a metà teriomorfa di quell’imago materna che si può designare come "Madre terrificante" e della quale si possono trovare numerose tracce nella mitologia." Edipo cade vittima di tale potere proprio quando crede di aver trionfato sulla sfinge: è infatti proprio questa eccessiva sicurezza di sè a renderlo vittima dell’incesto matriarcale e a trascinarlo nell’avventura della prova colpevole che lo aspetta.
"E’ chiaro che un fattore di questa mole non poteva essere liquidato attraverso la soluzione di un enigma infantile. Anzi l’enigma era proprio la trappola tesa dalla sfinge al viandante. Questi, sopravvalutando la sua intelligenza, incappò in maniera schiettamente virile nella trappola e commise senza saperlo il crimine dell’incesto.
L’enigma della sfinge era la sfinge stessa, cioè l’immagine terribile della madre di cui Edipo non intese l’avvertimento." Un’ulteriore interpretazione della sfinge è quella che troviamo, sempre in campo psicoanalitico, in Bion. Egli, ripercorrendo il mito di Edipo, nota come alcuni elementi in esso presenti siano stati trascurati dalla lettura freudiana, "perchè erano tenuti troppo in ombra dalla componente sessuale del dramma". Tra questi elementi inevitabilmente spicca la sfinge. Essa ha il compito importantissimo di suscitare in Edipo la curiosità, l’impulso a conoscere, quello che M.Klein definì "istinto epistemofilico" presente e attivo in ciascuno fin dall’infanzia.
La curiosità a conoscere a tutti i costi, presente in Edipo, è però osteggiata - così come accade in innumerevoli altri miti - dalla Sfinge che incarna l’atteggiamento del dio ostile all’acquisizione di conoscenza da parte dell’umanità in quanto minerebbe la divina supremazia.
La presenza della sfinge rimanda allora alla necessità, da parte di chi abbia la vocazione alla conoscenza, di imparare a reggere la frustrazione (il suicidio della Sfinge e di Giocasta) implicita nell’abbandono del già conosciuto.

Bibliografia: J.P.Clébert "Animali fantastici" Armenia; C.G.Jung "Simboli della trasformazione" Boringhieri; AA.VV. "Letture bioniane" Borla; J.L.Borges "Manuale di zoologia fantastica" Einaudi.


Agnese Galotti


 HOME     TOP   
Tutti i diritti sui testi qui consultabili
sono di esclusiva proprieta' dell'Associazione G.E.A. e dei rispettivi Autori.
Per qualsiasi utilizzo, anche non commerciale,
si prega prima di contattarci:

Associazione GEA
GENOVA - Via Palestro 19/8 - Tel. 339 5407999