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Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Home Anno 5° N° 15
Marzo 1996 Pag. 9° Maria Campolo
 MITI E LEGGENDE 

ELENA

"Il passaggio di Elena sulla terra segna un momento di equilibrio, anche se fugace, tra necessità e bellezza e poichè è sfida alla legge del cielo, solo l’Olimpo avrebbe potuto sostenerla. In terra quella sfida divampò il tempo della vita di Elena, accompagnata e seguita dalla rovina. Ma è il tempo che, quando fu svanito, la terra continuò a sognare."

Nemesi è, nella mitologia greca, una delle figure della Necessità. Così come le sue sorelle, anch’ella non ha un volto definito e fa parte del mondo primigenio, remoto, regno della potenza ancora astratta. Mentre Crono sognando "calcola le misure dell’universo", queste figure distribuiscono equamente ad ogni essere vivente la propria parte. Fra loro Nemesi, la Vendetta, è la più bella ed ha quale inseparabile amica Aidòs, il Pudore. Ciò che unisce le due amiche è l’offesa: Aidòs trattiene gli uomini dal compierla, Nemesi interviene come ineluttabile conseguenza, contro chi non ha prestato ascolto a Pudore.
Zeus, padre di tutti gli dei, aveva sempre guardato a donne mortali per le sue avventure galanti, mai a figure fatali quali quelle della Necessità. Ma accadde, e invano Nemesi cercò di sottrarsi all’incontro con il dio, a nulla valse percorrere tutte le terre e assumere innumerevoli forme perchè alla fine il dio riuscì, con un’astuzia, ad unirsi a lei. Da questa unione nacque l’unica figlia terrestre di Zeus: Elena. Nacque da ciò che gli uomini definiscono una contraddizione: dalla "possente necessità" di un dio di "sedurre" la Necessità, affinchè generasse la bellezza.
Il frutto nato da questa impresa fu causa di uno dei conflitti più grandi che si verificarono nella storia dell’antichità, la guerra di Troia. Guerra che rimase unica sia per i preparativi, che per l’estensione di tempo, nonchè per la grandezza degli eroi che vi parteciparono, tanto che neppure l’Olimpo potè restare, questa volta, semplice spettatore di vicende umane, poichè anche gli dei furono coinvolti in una sorta di guerra intestina.
Quando Elena fu in età da marito molti furono i pretendenti alla sua mano e Tindaro, il padre terreno, per non inimicarsi nessuno, decise che sarebbe stata ella stessa a scegliere il suo futuro sposo. Scelse Menelao a cui diede una figlia, Ermione, ma poco doveva durare la serenità della vita coniugale. Infatti nell’Olimpo, sempre a causa della Bellezza, si era accesa una disputa che vedeva in gara le dee per stabilire chi di loro ne sarebbe uscita vincitrice.
Si chiamò Paride, fra gli uomini il più avvenente, perchè fosse giudice della contesa. Afrodite riuscì ad avere per sè l’ambito trofeo, corrompendo Paride a cui promise la donna più bella della terra. Sotto gli auspici della dea egli partì per Sparta e si fece accogliere nella reggia di Menelao e, grazie alla momentanea quanto propizia assenza del re, Paride rapì la bella Elena per condurla a Troia, rapimento che provocò l’indignazione dei Greci e la sanguinosa guerra che ne seguì.
Se fu davvero un rapimento o solo il primo dei tanti tradimenti di cui si rese artefice Elena, fu argomento che divise gli autori dopo Omero. Alcuni ritennero che Elena fu consenziente e che furono l’aspetto e la ricchezza di Paride a giocare un ruolo decisivo nella vicenda. Fra questi vi fu il poeta Stesicoro che scrisse versi in cui biasimava Elena e una leggenda vuole che ciò provocò l’ira di Elena che si vendicò del poeta togliendogli la vista che egli potè riacquistare solo dopo aver ritrattato le "calunnie".
Di tutt’altro avviso fu Gorgia che scagiona la donna da qualsiasi responsabilità "poichè ella fece quel che fece o per cieca volontà del caso e decreto della necessità, o presa da amore." Elena non pianse le sue presunte colpe, anzi dimostrò "insolenza impudica" se, come narra un mito, fu proprio lei ad ordinare ad Omero di scrivere l’Iliade, che narrasse di eroi ma soprattutto che celebrasse lei e da allora, rileva Calasso, "la letteratura obbedì al suo comando, assorbendo l’incanto afrodisiaco di Elena." Elena non ha virtù, quasi non ha psicologia; se piange, Zeus interviene abbassando sul suo sguardo un candido velo; quando trovò sua sorella Clitennestra appena uccisa dal figlio Oreste, ella in segno di lutto si tagliò i capelli, ma solo le punte per non imbruttirsi. Menelao non riuscì ad ucciderla quando la rivide a Troia: ella si mostrò a lui a seni nudi e la spada gli cadde di mano; nè i Greci riuscirono a lapidarla quando si accorsero che usciva dal conflitto sana e salva: la bellezza ancora una volta, le aveva salvato la vita. Nella tradizione omerica Elena visse realmente a Troia per tutta la durata della guerra e fu proprio lei ad aiutare Ulisse e gli altri guerrieri achei nascosti nel famigerato cavallo, tradendo così il popolo che la ospitava. Altre varianti del mito vedono invece Elena dimorare in Egitto mentre infuriava lo scontro sotto le mura della città e assicurano che a Troia vi era solo una statua della donna fatta, forse, dallo stesso Zeus. Una stirpe intera di eroi sarebbe perita solo per un simulacro, per un’immagine? Omero forse sapeva di questa variante del mito ma preferì tacere, perchè la poesia epica non prevede che una sola verità, ha bisogno di aderire al simbolo come se tale non fosse, non può reggere all’ambiguità e alla contraddizione.
Jung interpreta la figura di Elena come una figura dell’archetipo dell’Anima, uno stadio della cultura dell’eros. Mentre Eva è la terra, il puramente biologico, Elena è l’eros ancora prevalentemente sessuale, estetico, con caratteri romantici. E’ l’incarnazione del femminile su cui è proiettata l’immagine dell’amore da parte dell’uomo. In questo caso la donna non è vista nella sua individualità ma funge da "schermo" su cui vengono proiettate le aspettative e l’immaginazione dell’altro.
Ogni uomo che Elena ha incontrato nella sua vita, ha visto nella sua bellezza solo il riflesso della propria anima ed è questo che la condanna da una parte ad essere il simbolo del tradimento e dall'altra ad essere l'oggetto d'amore, irraggiungibile proprio perchè idealizzata.
Avrebbe dunque ragione Gorgia quando, scagionando Elena, dice che non è sua la responsabilità del dramma, ma è di chi non ha saputo instaurare con lei quotidianamente un dialogo, rinnovando così quel gioco d’affetti che, mediante la parola, rende l’uomo responsabile di sè e degli altri. Si rende colpevole chi preferisce restare nella proiezione rinunciando alla propria vita spirituale, rincorrendo un vuoto ideale. L’anima attraverso i discorsi uditi e fatti, si modifica, si "fa", perchè è grazie al dialogo che si intrecciano e si modificano i rapporti umani.
"L’uomo - ci ricorda Gorgia - è sentimento e opinione ed entrambi si tramutano in parola ed è essa che costruisce e trasforma il mondo."

Bibliografia:
R. Calasso "Le nozze di Cadmo e Armonia" Ed. Adelphi - Kerènyi "Miti e Misteri" Ed. Boringhieri - C.G.Jung "Psicologia della traslazione" Boringhieri


Maria Campolo


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