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Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Marzo 1997 Pag. 6° Laura Ottonello

Laura Ottonello

 MITI E LEGGENDE 

LA CHIMERA

"Chimera, ti è giustamente stato dato un aspetto triforme, davanti di leone, dietro di drago, e in mezzo nient'altro che un fuoco ardente; una chiara immagine della prostituta."

L’origine della chimera è antichissima, probabilmente risale al XII secolo a.C. La sua forma è incerta. Spaventoso incrocio tra la capra, il leone ed il serpente, talvolta è descritta con la testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente o drago, talaltra con un solo corpo di leone o capra, o tre teste, una di leone, una di capra e una di serpente.
E’ il prodotto della unione di Tifone e della "vipera" Echidna, sorella delle Gorgoni; mostro nato dalle viscere della terra che sputa fuoco.
Dalla sua bocca spalancata, scrive Omero, essa vomitava vortici di fiamme che incendiavano gli alberi e riducevano in cenere tutto ciò che era vicino. Alcuni autori riportano che visse a Patara e fu allevata dal re di Caria Amisodare.
Fonti antiche riferiscono che la sua tana era su un’alta montagna, sormontata da un vulcano costantemente in eruzione. La cima, completamente spoglia, era abitata da un gruppo di leoni; sulle pendici, ricoperte da una stranissima vegetazione, vivevano delle capre selvatiche.
Dalla descrizione di questo luogo, alcuni autori avanzano l’ipotesi che la chimera sia simbolo della montagna stessa con il leone rappresentante della testa, la capra sui fianchi e il drago-vulcano.
La leggenda narra che il re di Licia, Iobate, ordinò a Belleforonte di ucciderla perchè essa si dava a scorrerie sul suo territorio. Questi vi riuscì, con l’aiuto di Pegaso, il cavallo alato. Si racconta ch’egli avesse fornito la punta della sua lancia di un pezzo di piombo che, col calore delle fiamme lanciate dal mostro, solidificandosi nella sua gola, lo soffocò. Il combattimento è rappresentato su molte opere d’arte e monete.
E’ difficile interpretare questo mito poichè i vari elementi che lo costituiscono lo rendono assai complesso.
Sicuramente, un’immagine tanto mostruosa rimanda a concezioni emerse dalle profondità dell’inconscio rappresentanti, forse, desideri che la frustrazione esaspera e trasforma in fonte acuta di dolori.
In passato poeti e sociologi hanno visto in lei l’immagine dei torrenti: capricciosi come le capre, devastanti come i leoni, sinuosi come i serpenti. Non si possono arrestare con le dighe e bisogna prosciugare con l’inganno, inaridendone le fonti e deviandone il corso.
E’ difficile, oltre che interpretarne il simbolo, anche seguirne l’evoluzione dal punto di vista semantico; nella nostra lingua è divenuta sinonimo della fantasticheria e dell’immaginazione illusoria, anche se la sua storia è di certo assai più ricca.
Come non è possibile smascherare manifestamente il "sintomo", cioè la fuga dalla realtà che la chimera rappresenta, così essa si mostra seducente verso chi le si consegna, e non la si può affrontare apertamente, ovvero combatterla "faccia a faccia": occorre cacciarla e sorprenderla nel suo covo.
Paul Dies vede la chimera come una deviazione psicologica caratterizzata da un’immaginazione fertile e incontrollata e, pertanto, esprime "il pericolo dell’esaltazione immaginativa", fatale quanto l’immagine del mostro stesso.
Nel Medioevo essa simboleggiò la prostituzione. Nel XII secolo il poeta Marbodo, nelle sue invettive in versi contro la donna, fonte di ogni peccato, le grida: "Chimera, ti è giustamente stato dato un aspetto triforme, davanti di leone, dietro di drago, e in mezzo nient’altro che un fuoco ardente; una chiara immagine della natura della prostituta, poichè, per ammaliare la sua preda, essa si presenta con un muso di leone, simulando una certa apparenza di nobiltà; avendo con questa speciosità, catturato le sue vittime, le divora tra le fiamme della sua passione amorosa..." In epoca contemporanea alcuni pittori surrealisti, Brauner per esempio, la rendono umana dipingendola con testa di donna dai grandi occhi e dai lunghi capelli, che avanza con un unico piede a tre artigli. Un’altra, ancora più lontana dal suo antico modello, è stata dipinta da autori successivi: è questa l’ultima chimera, il simbolo di tutte le cose campate in aria.
Anche Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia ha scritto di lei, ma in versione maschile stavolta, collocandola all’Inferno: è un mostro alato per nulla conforme alla descrizione degli antichi Bestiari.
Vi è un animale, uno dei pesci più antichi del mondo, che porta questo nome: vive fino a 2.000 metri di profondità nelle acque fredde. Di aspetto mostruoso, ricorda gli uomini-pesce dell’antica mitologia, con pinne ventrali dalle quali pendono appendici carnose e pinne pettorali che somigliano a delle braccia.
Quel che la rende ancora più orribile è il suo comportamento e, se così si può dire, la sua mimica: si agita e si muove in tutte le direzioni non cessando mai di contorcersi, come se facesse delle smorfie.
E’ stata soprannominata il "re delle aringhe" perchè, quando si trova in acque poco profonde, ha l’abitudine di seguire i banchi di aringhe, senza per questo nutrirsene.
Un’interpretazione astrologica della chimera è riferita al tempo in cui l’anno era diviso in tre stagioni: la primavera rappresentata dal leone, l’autunno (o l’estate) rappresentato dalla capra e l’inverno dal serpente (o dal drago).
Chimera era anche il nome portato da una ninfa siciliana la quale s’innamorò del bel Dafni.
In una lettura analitica il simbolo si presta bene ad incarnare il mostro che devasta, quanto il "regno nefasto di un sovrano perverso, tirannico o debole". Come a dire che la realtà fittizia costruita su illusioni e fantasticherie, non solo è luogo di chiusura ed autismo, ma schiaccia l’essere umano poichè, precludendone ogni relazionalità, lo esclude dalla vita.


Laura Ottonello


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