Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Home Anno 8° N° 28
Giugno 1999 Pag. 2° Agnese Galotti

Agnese Galotti

 EDITORIALE 

FALSA RIMOZIONE

"Chiudere fuori qualcuno è sempre chiudersi dentro."

C'è qualcosa di terribile e paradossale nel fatto che mentre proliferano film-denuncia su guerra e genocidio, affinchè "non si dimentichi ciò che è stato", contemporaneamente accadono le stesse terribili efferatezze, agite con malsana convinzione da alcuni ed alimentate dalla ipocrita collaborazione di altri, che stanno al gioco dichiarando di opporvisi.
E' ben difficile non soccombere ai messaggi schizofrenici che l'umanità, in maniera sempre più eclatante, lancia a se stessa, senza alcun recupero di consapevolezza.
Difficile, in momenti come questi, far tesoro di un'esperienza umana tanto estrema qual è la guerra, senza perdersi nei meandri solo emotivi dei particolari, che ci arrivano in immagini quotidiane, paralizzanti nella loro cruenza, e senza cedere alla tentazione altrettanto violenta di rimuovere tutto per continuare a vivere.
Eppure la dinamica è sempre la stessa: la guerra è davvero l'espressione collettiva di una sofferenza individuale che origina dalla separazione, dall'alterità, dalla perdita di percezione dell'universale che ci abita e ci costituisce, di ciò che gli orientali chiamano "interconnessione tra tutte le cose".
Finché permane questo bisogno di individuare un nemico da combattere, da escludere, da eliminare o da rimuovere, la storia torna sordamente a ripetersi in maniera coatta.
E l'umanità continua a combattere contro se stessa, come affetta da un inguaribile cancro che la devasta senza tregua:
il cancro della rimozione del proprio essere unico corpo, una sola carne.
E come accade in ogni comportamento coatto ed automatico, l'agire si alimenta dell'agire, perpetuandosi in una catena senza fine.
E quand'anche si affermasse ad un certo punto la parola fine, ancora una volta avrebbe inizio, come dopo ogni guerra, la grande opera di rimozione, l'immane sforzo per tentare di dimenticare.
Ma l'umanità, a dispetto di ogni apparenza, non riesce a rimuovere: almeno nei suoi frammenti, nei singoli, drammaticamente ricorda.
Il suicidio dei centomila americani ex combattenti in Vietnam, così come il suicidio di molti sopravvissuti ai campi di concentramento, anche dopo lunghi anni di reinserimento nella cosiddetta "normalità", ci parlano di questa scioccante memoria, difficile da reggere da soli, ma assolutamente necessaria.
E' sul piano collettivo che continua a prevalere la rimozione, e la guerra allora sembra perpetuarsi per autodenunciarsi.
Ma il singolo individuo, da solo, evidentemente non può reggere il peso e la memoria di un male che riguarda il sociale tutto, nè trova la forza, da solo, per interrompere un meccanismo autodistruttivo così massiccio ed imponente.
Ciascuno quindi, finchè resta solo, o soccombe sotto il peso schiacciante della responsabilità, che diventa atroce "colpa", oppure... torna a rimuovere.
Per quanto ancora vincerà questo assurdo e malato connubio tra `vivere' e `rimuovere'?
Quando mai dimenticare ha davvero restituito all'essere umano, dotato di coscienza, un solido benessere?
Non ci può essere serenità finché non è accolta la sofferenza esistenziale.
C'è bisogno di un massiccio risveglio, individuale e collettivo insieme, un risveglio alla coscienza della nostra vera identità di umani, della nostra dimensione spirituale, che trascende la miope immediatezza, un risveglio che ci costringa a vedere l'insensatezza di ogni tentativo di escludere da noi chiunque, rimuovendo la consapevolezza di una consustanzialità che, se non accolta, ci ritorna come autoaggressione, come cancro divorante la nostra stessa carne.
Mai come ora è tangibile il valore sociale del lavoro di consapevolezza, che non resta mai solo individuale, quale unico movimento atto a smantellare le massicce dinamiche di rimozione e scissione che drammaticamente lacerano il corpo del vivente.
Mai come ora si manifesta evidente nella sua ipocrita ingenuità l'illusione di risolvere i problemi dell'umanità con facili interventismi, fatti di un agire immediato che alimenta rimozione e partitismi dissocianti, ed ostacola l'unico vero rimedio, che come ogni medicina veramente risanante non può che passare attraverso la coscienza degli individui.
Non c'è altra via: ogni facile scorciatoia, ogni consumistica proposta di soluzione immediata, mai come oggi si smaschera nella sua assurda quanto colpevole menzogna.
Almeno questo possa restituirci, in termini di consapevolezza, questa assurda guerra in corso: possa guarirci dalla tentazione di credere a chi continua a spacciare facili ed immediati rimedi a conflitti che, prima di essere geografici, politici, religiosi o economici, sono nella coscienza di ciascuno, e là chiedono di essere in primo luogo riconosciuti, accolti, patiti, amati e solo allora, forse, superati.

Agnese Galotti


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