Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Dicembre 2000 Pag. 13° Agnese Galotti

Agnese Galotti

 METODO 

L'INDICIBILE

Il panico è spesso l'espressione dell'avvenuto incontro con il 'numinoso', che può sfociare nella patologia psichiatrica oppure diventare 'esperienza iniziatica'.

Oggi la nostra quotidianità è caratterizzata dalla presenza di numerosi strumenti atti a facilitare e rendere più immediata la comunicazione: dagli ormai obsoleti mezzi di informazione (radio, TV, giornali) ai più attuali mezzi di comunicazione (telefonino, internet).
La tecnologia spicciola ha per noi superato le ataviche barriere di tempo e spazio, permettendoci istantaneamente di contattare e comunicare con chi desideriamo in qualsiasi momento.
Ciò ha trasformato in maniera consistente anche le nostre abitudini: se in un passato relativamente recente l'ipotetica attesa di notizie da parte di una persona cara lontana poteva concentrare l'attenzione sull'arrivo del postino, oggi l'attesa si sposta dalla buca delle lettere, al computer, allo squillare del telefono, al lampeggiare della segreteria telefonica ai messaggini sul cellulare,… E' evidente tuttavia che questo non significa che la comunicazione interpersonale sia effettivamente migliorata nella qualità.
Può darsi anzi che questo invito all'immediatezza favorisca la superficialità della comunicazione stessa: laddove ci si disabitua all'arte del contenimento, si rischia l'impoverimento dei concetti veicolati e lo svilimento dell'opportunità del contatto.
Credo che un buon parametro per valutare la bontà di un rapporto interpersonale e della relativa comunicazione tra i soggetti interessati possa essere, più che la quantità di messaggi, il grado di libertà e quindi di trasparenza di cui essi godono: ovvero quanto ciascun comunicante, con la propria complessità e contraddizione, si sente presente per come è nella comunicazione in cui è impegnato, quanto invece si sente costretto a rientrare in un modello, in un copione che tende a ridurne la libertà.
In altri termini potremmo chiederci quanta `indicibilità' circa se stessi ed il proprio sentire, resta presente di contro ad una effettiva libertà.
Ognuno di noi porta in sé dei segreti, ed è fondamentale sviluppare la libertà di poterli o meno condividere, superando la costrizione in un senso oppure nell'altro.
La coscienza si sviluppa a partire della scoperta di questa libertà: si può dire o non dire, si può dire il vero oppure si può mentire.
Questa consapevolezza permette di cogliere la differenza esistente tra spazio interno e spazio esterno all'Io, ed il segreto, ciò che può essere tenuto dentro come un tesoro prezioso, può costituire per molto tempo la prova tangibile della nostra interiorità.
Dunque imparare a custodire un segreto è, in una certa fase della vita, esperienza davvero importante per il formarsi della coscienza.
Ma l'indicibilità di cui parlo rimanda a qualcosa di diverso: il segreto infatti è qualcosa di dicibile, almeno a se stessi, in quanto è pensabile, ha parola, ha un nome.
Esistono invece delle esperienze vissute, talvolta spaventose o addirittura terribili, oppure il semplice ricordo di qualcosa che abbiamo `sentito' e che è risultato per la nostra coscienza del tempo assolutamente inaccettabile, che possono restare a metà tra coscienza ed inconscio per lunghi anni e possono rischiare di non varcare mai del tutto la soglia del dicibile. Queste esperienze possono così costituire nella nostra interiorità un'ombra scura e confusa, che, quando non prende la via dell'espressione somatica, si manifesta attraverso un vissuto sgradevole tipo ansia, angoscia o addirittura panico; può farci sentire costantemente a disagio od in preda ad un senso di pericolo, tanto da sottrarre alla nostra coscienza una gran parte delle energie vitali.
Spesso si tratta dell'imposizione, da parte di un atavico giudizio, di un silenzio, di un'omertà affinché qualcosa non diventi mai realtà concreta, visibile, dicibile e dunque pensabile.
Talvolta può riguardare eventi inquietanti subiti in prima persona (violenze fisiche o psicologiche) o di cui si è stati drammaticamente testimoni, ma può trattarsi molto più semplicemente dell'emergere di un vissuto violento (l'esperienza dell'odio o della vergogna nei confronti di qualcuno che invece `dovremmo' amare) che la nostra coscienza non ha saputo reggere e da cui ci si è difesi creandovi intorno una specie di cortina fumogena che impedisce di pensarci con chiarezza.
Molti `drammi familiari' sono portati dentro così, da chi ne ha fatto esperienza magari in tenera età. Talvolta il tutto può originare dall'esistenza di un disagio psichico grave o di una caratteristica considerata `anomala' presente in qualche componente della famiglia, oppure da tensioni non accolte tra i coniugi; comunque si tratta di qualcosa che è vissuto come vergognoso, inaccettabile e quindi da tutti negato.
Quando, in un soggetto ormai adulto ed in un contesto accogliente, quell'ombra scura emerge nelle vicinanze della coscienza, egli può sentirsi fortemente in pericolo, lacerato dal conflitto tra la tentazione di tradire la vecchia legge e quindi affacciarsi a quei vissuti con la coscienza odierna al fine di liberarsene e l'atavica abitudine a non farlo, a `salvare' una presunta integrità che si avvale dell'impossibilità a dire, a se stessi soprattutto, cosa veramente si prova o si è provato.
C'è un valore catartico nel conquistare la libertà di `poter dire' (e quindi di `potersi dire') che tutte le scuole di psicoterapia nonché i riti religiosi hanno riconosciuto come fondamentale. Svelare ciò che per tanto tempo è rimasto celato da un alone di confusione, liberarsi dal peso di un imperativo categorico di cui non si riconosce più l'origine né l'autorità, è importante ed estremamente liberatorio.
Ma non ci si può fermare lì.
O si resta in un'ottica di colpa e perdono, oppure si ha il compito di elaborare ulteriormente il materiale emerso e di lasciarsi da esso trasformare: allora quell'esperienza tanto dolorosa svela la sua potenza costruttiva, restituendoci tutta l'energia che prima ci aveva sottratto.
Molte volte questo passaggio, soprattutto quando l'indicibilità era connessa alla sfera familiare, diventa lo strumento per superare la dimensione edipica, per liberarsi dalla propria identità filiale e liberare il genitore del suo ruolo, arrivando a vederlo per quello che è: un soggetto umano, che può essere o meno amabile, ma che non ha bisogno di essere da noi `salvato' in quanto ha diritto comunque alla propria esistenza, così come è.
In altri casi il passaggio dall'indicibile al dicibile e dunque al pensabile segna l'aprirsi della nostra mente e del nostro pensiero ad una spregiudicatezza del tutto nuova, libera da rigidi moralismi e capace di comprendere maggiormente il mondo e l'umanità con le sue profonde contraddizioni, con le sue armonie e le sue stridenti stonature.
Insomma il superamento di quella soglia non lascia mai come prima:
libera comunque energia e sblocca la mente da un'atavica paralisi.
Inoltre aver fatto l'esperienza dell'indicibile, essere sopravvissuti all'impatto con qualcosa di terrifico che non ha avuto per tanto tempo parola né nome, può finalmente essere colto nella sua valenza costruttiva: ovvero quella di aver svolto, in chi ne ha fatto esperienza, un compito iniziatico.
Mi spiego meglio. La mistica parla da sempre del contatto con Dio, dell'esperienza estatica come di qualcosa di indicibile: si è scritto molto, si sono usate molte metafore e molte descrizioni ma l'esperienza in sé, l'impatto con il `tremendum' è e resta indicibile. Solo chi può reggere tale indicibilità può aprirsi ad esperienza tanto elevata.
Il panico infatti, quale apice dei sentimenti sgradevoli che prima elencavo, spesso è l'espressione dell'avvenuto incontro, non consapevolizzato come tale, con qualcosa di superiore alle facoltà della coscienza, che può rimanere nella sfera del patologico finché non trova una lettura affermativa capace di celebrarne l'aspetto di `esperienza iniziatica' comunque vissuta.
Il rischio è, al solito, quello di essere portatori di qualcosa di estremamente prezioso, se non addirittura di sublime, e non arrivare mai a saperlo!

Agnese Galotti


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