Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Settembre 2002 Pag. 3° Agnese Galotti


Agnese Galotti

 RICERCHE 

SENSO DI COLPA

Sembra che la colpa di tutto il mondo si riunisca per rendere colpevole l'individuo oppure (ciò che vuol dire lo stesso) ch'egli, diventando colpevole, si senta reo della colpa di tutto il mondo.
S. Kierkegaard

Lo sperimentiamo come una morsa che costringendoci ci definisce nel nostro esserci, seppure al negativo: siamo i colpevoli. Si tratta paradossalmente di un potere che però imprigiona nell'impotenza più sconfinata, nell'impossibilità di sentirci liberi e, peggio ancora, sereni.
Il cosiddetto `senso di colpa' _ che può essere, secondo i casi, più o meno intenso fino a sfociare nel `patologico' _ può prendere svariate forme, da quelle ossessive a quelle più marcatamente depressive, ma la costante resta il collegamento diretto con un giudizio rigorosamente negativo su di sé che tende ad invadere progressivamente la personalità fino ad annientarne l'umanità.
Esso può avere o non avere una base `oggettiva', cioè un preciso accadimento, reale o immaginario, a partire dal quale è scattato il giudizio. Molto spesso, infatti, si tratta di senso di colpa `inconscio' che, se si collega ad un episodio concreto, lo utilizza, per così dire, da evento scatenante.
In alcuni casi è legato ad un evento tragico, realmente accaduto, del quale il soggetto è portato a sentirsi responsabile in maniera eccessiva, il che può sconfinare in un'auto accusa schiacciante.
Un esempio tipico è il senso di colpa che fa seguito alla morte _ per malattia o per disgrazia _ di una persona cara, evento rispetto a cui il soggetto, inchiodato in una rigida non-accettazione, si accusa di non aver fatto abbastanza.
Se prevale la modalità ossessiva egli tenderà a fissarsi nel ricordo degli antefatti, fino ad affogare nella molteplicità dei particolari, che egli evoca con insistenza, fantasticando mille e mille volte sul `come avrebbe dovuto agire', e ottenendo così, seppure in maniera fantasmatica, di indulgere indefinitamente in un passato che non esiste più.
Se invece prevale la modalità depressiva l'autoaccusa sarà tanto aggressiva e schiacciante da convogliare la quasi totalità di energia vitale del soggetto, fino ad esaurirne il flusso nella vita attuale, negando così ogni possibilità di presente e soprattutto di futuro, dimensioni queste, che il depresso rifiuta con ostinazione.
In altri casi si tratta di un senso più generico, ma non per questo meno invadente, di inadeguatezza rispetto al proprio comportamento o, peggio ancora, rispetto ai propri sentimenti, che vengono dal soggetto giudicati come `troppo…' o `non abbastanza…'.
Esempio significativo è il senso di colpa di chi, adolescente o in fase di crescita, è portato dalla sua stessa evoluzione a prendere una distanza affettiva dall'ambiente che gli è familiare, verso cui non si sente più emotivamente così coinvolto, fino a provare fastidio o rabbia per quelle che solo ieri considerava manifestazioni di affetto e che oggi gli stanno strette:
vissuti rispetto a cui il soggetto tende a giudicarsi aspramente, sentendosi ingiusto, mostruoso o, quanto meno `anormale'.
Scattano allora le difese contro il senso di colpa, tese ad allentare una tensione che, a ben vedere, può rivelarsi molto produttiva; i meccanismi di difesa possono andare dalla negazione alla proiezione della colpa sull'altro, al prezzo di una profonda distorsione della realtà, così come era originariamente percepita; oppure possono andare dalla richiesta indiretta di perdono attraverso un'eccessiva gentilezza alla richiesta di punizione attraverso un comportamento scortese e provocatorio, al prezzo, in questi casi, di una violenta distorsione dell'atteggiamento verso l'altro.
Tuttavia viene da domandarsi quale possa essere la funzione del senso di colpa!
Nella maggior parte delle teorie psicoanalitiche il senso di colpa, ovvero quell'emozione che segue la violazione di un precetto, viene fatto risalire all'evolvere della dinamica edipica e al formarsi del Super-Io, ovvero quell'istanza della personalità che si costituisce attraverso l'interiorizzazione di esigenze e divieti genitoriali e che finisce per cristallizzarsi, dentro ciascuno, in un insieme di giudizi di valore, più o meno consci (e più o meno socialmente condivisi) ma _ e qui nasce il conflitto _ sempre meno attuali.
Dunque il senso di colpa, connesso alla crescita ed alla progressiva assunzione di responsabilità del vivere sociale, ha una funzione importante nell'evoluzione psicologica di ciascuno; prova ne è il fatto che l'incapacità di provare senso di colpa, insieme a manifestazioni di asocialità ed anaffettività, caratterizza quelle personalità fortemente disturbate che la psichiatria definisce `psicopatiche'.
Tuttavia, come ogni funzione psichica, la possibilità di sentire la colpa necessita di un'adeguata collocazione all'interno della personalità globale che, in quanto tale, è in continua trasformazione e malsopporta rigidi schematismi (come quelli del Super-Io) che tenderebbero a fissarla in una fase, ostruendo quella mutazione costante che caratterizza invece la vita.
La capacità di provare senso di colpa, inoltre, è strettamente connessa alla disponibilità a sentire il dispiacere per l'eventuale danno provocato, seppure involontariamente, col nostro agire.
Il dispiacere per il dolore che il nostro modo di essere può provocare negli altri è un vissuto che, qualora non si trasformi in giudizio o condanna paralizzante, può rivelarsi estremamente fruttuoso:
può aprire spazi di riflessione ben più ampi di quelli generati da immediata concordanza e, soprattutto, può indurre, creativamente, la necessità di attivarsi in un gesto di riparazione.
Ma che cosa può distinguere realmente una sana capacità di provare senso di colpa, di chi si riconosce soggetto umano adulto, si fa carico delle proprie responsabilità e risponde delle proprie azioni, da un patologico senso di colpa che imprigiona in un giudizio sterile su ciò che è stato, bloccando la possibilità rispetto a ciò che è ora e che potrà essere?
Non si tratta di scegliere tra colpa o giustificazione ad oltranza, né di criminalizzare una capacità di giudizio che ci permette di valutare, di volta in volta, il nostro agire, prendendo atto delle conseguenze che ne sono emerse.
Si tratta piuttosto di individuare un atteggiamento sano, che mantenga sempre un'apertura, che lasci sempre spazio alla possibilità di ulteriore consapevolezza, senza cadere negli estremi, pericolosi entrambi, della deresponsabilizzazione o della condanna.
Fa riflettere, tra l'altro, il fatto che il termine `colpa', di provenienza giuridica, sia usato per indicare l'infrazione involontaria di una norma, diversamente da dolo (delitto) che indica invece l'infrazione volontaria e progettata.
Per quanto noi si voglia essere corretti, giusti, responsabili, per quanto si voglia perseguire il bene, in quanto umani siamo fallaci, limitati e soggetti al male, dunque alla colpa.
Questa è forse la cosa più difficile da accettare.
Si tratta di lasciar cadere l'illusione di qualsiasi certezza circa un presunto potere incondizionato della volontà umana e, con essa, qualsiasi illusione di un giudizio umano che possa essere esaustivo.
Possiamo, certo, esprimere dei giudizi, di volta in volta, farci un'idea su eventi ed accadimenti, su comportamenti nostri ed altrui, ma dobbiamo ben guardarci dalla tentazione di esprimere giudizi che abbiano la benché minima pretesa di essere assoluti.


Agnese Galotti


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