Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Settembre 2002 Pag. 10° Ada Cortese


Ada Cortese

 SCHEDE 

PANICO, AGORAFOBIA E CLAUSTROFOBIA

Proseguiamo con le considerazioni sparse attorno alle hit - fobìe

Panico
Il panico evoca il nostro rapporto con il Tutto. C'è chi avverte la poesia, la libertà che il Tutto offre a chi sappia affidarvisi senza supponenze intellettualistiche, senza esigenze psicologistiche e scientiste di modelli.
Nasce così il Movimento panico di Jodorowsky, Arrabal e Topor, movimento poetico che accoglie il principio caotico del Tutto.
C'è invece chi vive l'aspetto inquietante nel rapporto con il Tutto, ad un punto tale da sentirsene paradossalmente soffocato.
L'eziologia personale spesso si ferma a considerare la pura fase di comparsa del sintomo: in ambito medico ci si muove tra la teoria secondo cui la causa andrebbe ricercata nell'improvviso "guasto" del sistema cerebrale di allertaggio, con corrispondente "guasto" nell'atteggiamento paranoide funzionale, regolatore dell'ansia e della paura, in ambiente psichico; e la teoria secondo la quale ciò che smette improvvisamente di funzionare sarebbe il sistema di allarme di soffocamento.
Viene sottolineato che i soggetti "panici" non saprebbero respirare bene e che, con gli attacchi di panico, respirerebbero sempre peggio producendo e intrappolandosi in un girone infernale senza apparente via d'uscita.
Da un punto di vista psicodinamico la cattiva respirazione che accompagna l'attacco di panico è già il senso stesso dell'attacco: se occorre "aria" per respirare, il rebus è facile da sciogliere: cosa non fa più respirare, cosa e chi ci toglie l'aria?
E, poiché l'attacco panico arriva come e quando vuole, esso segnala che, pur avendo di tutto, Tutto viene a mancarci. "Avere di Tutto" non significa "stare ed essere nel Tutto".
Il panico come attacco segnalerebbe allora il desiderio di recuperare quella totale Libertà che il Poeta sa respirare nel suo rapporto fluido e ventoso con il Tutto. Gli estremi si toccano e portano in sé la stessa conoscenza.

Agorafobia
Dal greco "agora" = piazza e fobia = paura. Dunque paura di attraversare la piazza, simbolo del centro e dell'esteso.
Cosa può nascondersi dietro l'agorafobia?
Forse la paura dell'infinito, dell'indeterminato. Ma anche il terrore del continuare a produrre il sacro, l'angosciante evocazione inconscia di antica violenza e di antichi sacrifici. Forse è proprio la claustrofilìa, l'amore per i luoghi chiusi e solitari, la condizione psicologica e spirituale che si sposa e fa da contraltare all'agorafobia: il rifiuto di essere Ulisse, di continuare a errare, eterni pellegrini senza Patria, ci può far scegliere, concretamente e/o simbolicamente, la clausura e l'isolamento.

Claustrofobia
Dal latino "claustrum" = luogo chiuso e fobia. Quindi paura dei luoghi chiusi ed angusti.
Cosa può nascondersi dietro la claustrofobia?
Forse la paura dei pensieri piccoli, delle conseguenze e degli effetti collaterali di una pur ricercata "sicurezza". Forse essa evoca la necessità di "uscire" fuori, "rinascere".
Di ciò parlano i tanti sogni di strisciamento, soffocato e vermiforme, dall'elemento ctonio, inconscio, umido e freddo all'esistenza cosciente, riscaldata dal sole della consapevolezza. Si potrebbe allora aggiungere, per puro gusto estetico di geometriche corrispondenze, che è proprio l'agorafilìa, l'amore per il cielo e l'orizzonte aperto, l'amore per la piazza aggregante persone e pensieri liberi, la condizione psicologica e spirituale che si sposa e fa da contraltare alla claustrofobìa: il rifiuto di "sicurezze segreganti e privatrici", del silenzio coatto, il rifiuto di esaurirsi in una sola identità dominante, per quanto amabile, di essere fissati come in una foto, ci risospinge all'aperto, c'induce ad azzardare, a rimettere in gioco tutta una vita in cambio di un gesto simbolico che in definitiva può riassumere se stesso in questa frase: del Pensante che afferma "credete di possedermi, di sapere con chi avete a che fare ed invece sono Pan, sono Bed, sono il Grande Burlone di se stesso e di voi. Mentre mi pensate ed in me cercate conferme e punti fermi di moralità e di senso, io, sospinto da superiore necessità, fuggo via e, spero, in questo strano subìto sacrificio di me stesso, non dover riperdere ancor la vita mia!" L'etiologia personale del sintomo claustrofobico può avere a che fare con traumi quali sequestri, prigionia di guerra, temporanei stati di isolamento da catastrofi naturali quali terremoti, incendi ma la paura degli ascensori, degli aerei, delle grotte a parecchie decina di metri sotto terra e di tutti quei luoghi da cui non si può uscire quando lo si voglia, non investe solo chi può aver subìto traumi del genere descritto.
Spesso non v'è memoria di alcun evento straordinariamente perturbante.
V'è invece spesso, nella storia personale di chi soffre di claustrofobia, un dolore per un dramma familiare da cui non si è mai potuti fuggire. Spesso il trauma è nel mito familiare, ossia in quel motivo psicologico che quel particolare gruppo di persone ha il compito di coscientizzare.
Il soggetto più adatto alla trasformazione è anche colui che più è vulnerabile e che dunque può avvertire sensibilmente il peso del mito.
Molte famiglie sembrano prese di mira da un fato avverso che, di generazione in generazione, le segna colpendo singoli membri in modo tragico e violento.
Suicidi, malattie, comportamenti "pazzi".
Il vissuto che il mito induce è vergogna, chiusura e tentativo di abreazione rifugiandosi nella cura ossessiva dell'immagine. Accade spesso di assistere a fenomeni di perfezione formale, tanto esasperata quanto inquietante, che si accompagnano a stati sistematici di confusione ideomotoria con nascosti vissuti di "sporcizia", anaffettività, superficialità di sentimenti e pensieri, somatizzazioni spesso legate alla facoltà deambulatoria.

A chi il primato?
Il panico è più plateale ma non all'apice della hit _ fobie. Tra le altre due, agorafobia e claustrofobia, parrebbe prevalere la seconda rispetto alla prima. E ciò è su un piano intuitivo e simbolico facilmente spiegabile: la nostra società non pecca certo per eccesso di educazione al mistero. Essa pecca semmai del contrario: della preoccupazione a "rassicurarci" con una mole di sottoprodotti culturali di cui nessun ambiente psichico umano può ormai soddisfarsi.
Perenne riciclaggio delle dinamiche edipiche, posizionamento forzato delle persone/popoli al livello più basso ed "offensivo": quello dell'oralità/consumismo. A fronte di questo atteggiamento mondiale non c'è da stupirsi che uno dei sintomi dilaganti della psiche planetaria sia proprio la claustrofobia.
D'altra parte l'agorafobia segnala, si può dire, a modo suo, la necessità e la mancanza di esercizio e confronto coscienziale con l'Immenso.
Il panico , oltre che la paura degli spazi aperti segnala l'assenza di orizzonti di significato e di senso. Immersi nei prodotti del mercato per la vita quotidiana, sommersi dall'alienazione della conoscenza interiore venduta alla popolarità, agli interessi di mercato ed al narcisismo personale, noi ci sentiamo terrorizzati e in procinto di morire.


Ada Cortese


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