Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Dicembre 2002 Pag. 11° Laura Ottonello


Laura Ottonello

 MITI E LEGGENDE 

GNOMI, ELFI... & CO.

"Sono molto meravigliato di sapere che c'è gente che non ha mai visto uno gnomo. Non posso fare a meno di provare compassione per costoro. Qualcosa non va. Certamente la loro vista non funziona bene."(*)

Gnomi, folletti, elfi, silfidi e fate... sono questi i personaggi di tante fiabe che hanno popolato la fantasia di quando eravamo bambini.
Paracelso ed Elephos Levi dividono il piccolo popolo fatato in spiriti della terra, dell'acqua, dell'aria e del fuoco.
Il popolo dei boschi esiste sulla Terra da molto tempo prima dell'uomo. Egli ha condiviso con gli animali e le piante il pianeta per molti lustri. Poi sono arrivati gli uomini, numerosi e pieni di esigenze e il piccolo popolo si è ritirato negli angoli più tranquilli dei boschi e delle foreste.
La parola "elfo" viene dal latino "Albs" che vuol dire bianco. Il nome venne attribuito dalla tradizione germanica; è nei paesi del nord che essi sono più frequenti.
Gli Elfi sono in genere alti, chiari di pelle ed emanano un'intensa luce lunare che si affievolisce nei momenti di pericolo, e si intensifica se sono molto felici o arrabbiati.
Nelle grandi foreste del Nord è possibile incontrarli, ma è difficile vederli perché, se è vero che sono luminosi, è anche vero che si mimetizzano molto bene.
Ci sono molti tipi di Elfi, come ci sono molti tipi di gnomi, fate, folletti e altro.
Anche gli gnomi sono personaggi importanti della mitologia nordica. Oggi sono quasi dimenticati ma, in passato, erano membri ben integrati nella società degli uomini: circolavano per le strade ed era normale che aiutassero o ostacolassero gli uomini a seconda dei loro meriti.
Gli gnomi lavorano di notte nei boschi o, in campagna, nelle case degli uomini. Abitano spesso nelle travi dei grandi granai e, se trattati bene, danno un'occhiata al bestiame ed al raccolto. Proteggono dagli influssi malefici, dai trolls e dagli spiriti maligni.
Nell'immaginario popolare lo gnomo ha l'aspetto di un nano, spesso barbuto; è custode delle miniere e degli spiriti della terra. Da quando l'uomo è diventato padrone assoluto della Terra, infatti, gli gnomi sono stati costretti a ritirarsi in angoli nascosti, spesso sotto terra, dove si tengono ben lontani dalla nostra vista.
Le fate, altre creature del popolo fatato, sono conosciute dai bambini di tutto il mondo. Recentemente, con il film "Pinocchio" è tornata in auge la nota Fata Turchina, buona, dolce e leggiadra, capace di compiere incantesimi, come tutte le fate che si rispettino.
E' curioso soffermarsi sull'etimologia delle parole. Fatale, per esempio, viene proprio da fata ma ha una connotazione perloppiù negativa. Significa infatti "voluto dal fato", dal destino, e si riferisce spesso a eventi tragici, imprevedibili quanto drammatici.
Fata Morgana, personaggio importante della storia in chiave mitologica di Re Artù, compagna e "collega" del Mago Merlino, è un termine usato per indicare un fenomeno ottico dovuto alla riflessione e rifrazione della luce per cui gli oggetti appaiono capovolti nell'aria: un vero incantesimo! Figurativamente sta ad indicare una vana speranza, un'illusione.
Ora, per tornare ai nostri piccoli esseri, Yeats li descrive come "angeli caduti in peccato, nè buoni abbastanza per essere salvati, nè cattivi al punto d'essere dannati." In questo li sento molto simili agli uomini...
Molti sono gli aspetti per cui si possono ritenere angeli caduti, fra questi: la loro natura volubile, la loro estrosità, il loro modo di essere buoni con i buoni e cattivi con i cattivi, la loro mancanza di responsabilità, l'instabilità di carattere che mostrano.
Il piccolo popolo fatato è fatto di creature estremamente suscettibili:
bisogna assolutamente evitare di parlarne spesso e non desiderano che si conosca il loro nome. Ma sono anche molto facili da compiacere: basta solo lasciar loro, in qualche nascondiglio, un po' di latte o un po' di cibo, e faranno ogni cosa per tenere lontano dai loro amici, gli uomini, ogni sventura.
Sono angeli caduti, ma senza malizia di peccato per cui non furono dannati; vivono nel mondo visibile, come gli uomini, senza far parte nè del cielo nè della terra, e non hanno una forma propria ma mutano a seconda dell'umore e del capriccio del momento.
Il loro mondo è quello del sogno, in questo ci appaiono, ci parlano, agiscono per noi. Il loro mondo è fatto di feste, di lotte, d'amore e di musica.
Nell'ambito della loro vita sociale sono soliti celebrare tre feste all'anno; la festa di maggio, quella di mezza estate e la festa di novembre.
A maggio escono all'aperto e benedicono le sementi germogliate.
A San Giovanni, quando i falò sono accesi, fanno fiorire le miniere d'argento.
A novembre si scaldano al fuoco degli uomini e possono predire il futuro.
Ma perché, pur somigliando tanto agli uomini e pur nella loro ambivalenza, non ci è mai dato di vederli?
Forse perché, come afferma Paracelso, "gli spiriti in genere provano avversione per le persone presuntuose e ostinate come i dogmisti, gli scienziati, gli ubriaconi e gli ingordi e per ogni persona volgare e litigiosa; amano invece i semplici, innocenti e sinceri. Quelli che conservano un animo infantile. Solitamente da costoro si lasciano avvicinare, ma con difficoltà, perché sono timidi come gli animali del bosco." La fondatezza di questa antica ipotesi ci arriva da una testimonianza onirica che, proprio come una favola, sa regalare profonde emozioni:
Atmosfera fine Anni Cinquanta. Una spider di quei tempi, un gruppo di giovincelli che evoca la "Gioventù bruciata" del film di James Dean, s'avvicina ad un casolare situato ai margini della città.
La porta d'ingresso fa mostra di sè in cima ad una discreta, agevole e tondeggiante scalinata. Essa dà su di un' ampia area sterrata priva di recinzioni.
Si sapeva che in quel casolare periferico vivevano persone pericolose.
Erano orchi. Nessuno osava avvicinarvisi.
Ma con l'incoscienza della gioventù, la baldanza del sentirsi in "branco" e in "banda", protetto dal mezzo motorizzato regalato ad uno di loro con ricca negligenza paterna, il gruppo, in macchina , si avventura fino avanti alla casa compiendo prodezze acrobatiche automobilistiche ed impestando l'aria di osceno rumore e ancor più oscena tracotanza...
Infine i ragazzi scendono e, più per sfida reciproca che per sfida verso l'interlocutore esterno, provocano gli abitanti. Esce il capo orco e quelli, presi dalla paura che si fa subito terrore, risalgono a bordo e mettono in moto. Solo uno di loro resta e si lascia avvicinare dall'orco che, stupito, gli chiede:
"perché non hai paura?" e il giovane di rimando "perché in ciascuno di noi c'è un orco e tu non mi sei estraneo".
L'orco, stupito, rientra. Tutti i suoi compagni sono seduti, per il desco, attorno a un lungo tavolo.
Egli non si siede ma va avanti ad uno specchio appeso alla parete antistante la fine di una scala che collega i diversi piani della casa . Si guarda e si vede nel suo infinito orrore. E di orrore e dolore urla continuando a guardarsi e intanto la sua faccia si fa fiamma che arde.
E la fiamma si trasforma in un bellissimo volto di uomo.

(*) A.Munthe


Laura Ottonello


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