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Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Home Anno 12° N° 45
Settembre 2003 Pag. 5° Agnese Galotti


Agnese Galotti

 RECENSIONI 

LA MORTE DELL'ANIMA

L'ultima opera di Marco Vannini

Marco Vannini, studioso della tradizione mistico-filosofica nonché curatore dell'edizione italiana delle opere di Meister Eckhart, Angelus Silesius, Margherita Porete e altri mistici, si intitola appunto "La morte dell'anima. Dalla mistica alla psicologia", edito dalla Casa Editrice Le Lettere di Firenze Si tratta di uno studio accurato del concetto di anima e delle sue origini filosofiche, teologiche e psicologiche, nonché delle progressive trasformazioni che l'anima ha subìto all'interno della nostra cultura occidentale.
Anima proviene dal greco ànemos, vento, soffio vitale e caratterizza tutto ciò che è vivo, tutto ciò che è animato.
Concettualmente è fin dall'inizio imparentata con lo spirito che, dal greco pneuma, è anch'esso soffio, alito, vento.
Compare fin dai testi omerici e assume particolare importanza nei misteri (soprattutto nell'orfismo) dove è solidamente affermata la divinità dell'anima umana.
Nel corso dei secoli il rapporto tra anima (psychè) e spirito subisce varie vicissitudini di cui l'Autore ripercorre i passaggi cruciali:
- dalla saggezza greca del "Conosci te stesso e conoscerai te stesso e Dio", in cui è affermata la profonda unità di esperienza dell'anima ed esperienza di Dio; - alla saggezza mistica del cristianesimo medievale che raggiunge la più profonda conoscenza dell'anima, del suo "fondo" e delle sue "potenze" (Meister Eckhart); - alla condanna di tale conoscenza mistica da parte della chiesa, che non può accettare che "fondo dell'anima e fondo di Dio siano un unico e medesimo fondo" e ne sancisce una irriducibile separazione che sfocia in insanabili contrapposizioni, quali quella tra naturale e soprannaturale, umano e divino, materia e spirito…; - fino al conseguente impoverimento dell'anima stessa che finisce per scadere, nelle attuali scienze psicologiche, al livello delle sue facoltà perdendo la propria radice, il proprio fondo.
Ciò che l'Autore evidenzia è come, paradossalmente, sia proprio all'interno del cristianesimo, con la sua impossibilità di accogliere il messaggio fondamentale dell'esperienza mistica, la quale afferma la consustanzialità di umano e divino superando dialetticamente ogni alterità, che origina quel duplice e parallelo processo di impoverimento _ di cui siamo tuttora testimoni _ che riguarda da un lato la religione (conoscenza di Dio), e dall'altro la psicologia (conoscenza di sé).
A partire da lì "l'esperienza dello spirito e la cura animarum si impoverirono fino a generare la moderna psicologia, nella quale l'anima è andata incontro ad una morte che non è quella mistica, ma una vera e propria scomparsa".
Il contesto scientifico in cui nasce la moderna psicologia è infatti completamente intaccato dalla scissione di cui sopra: la psiche è qui ormai totalmente altro dallo spirito.
Per contro nel contesto filosofico la parola psychè _ anima _ pur cominciando presto ad assumere il significato di forze di pensiero, desiderio e volontà che contraddistinguono l'uomo, ha mantenuto per lungo tempo memoria della propria natura divina, L'autore si sofferma su filosofi, come Cartesio, Spinoza e soprattutto Hegel, i quali, credendo nella possibilità di una vera "scienza dell'anima", hanno indagato l'umana psiche formulando articolati sistemi di conoscenza in cui la salute dell'anima è concepita come recupero della sua condizione divina, e in cui, di conseguenza, emerge come "malata sia quell'anima che non muore, ovvero non diventa spirito".
Due sono quindi le morti possibili dell'anima: l'una, salvifica, corrisponde al distacco, alla morte del piccolo Io che apre la strada al fondo dell'anima, allo spirito; l'altra, riduttiva, corrisponde all'oggettivazione dell'anima e alla sua frantumazione, una volta che sia andato perduto il suo nucleo fondamentale, il richiamo all'Uno.
L'autore vede nell'attuale proliferare di innumerevoli "psicologie", nelle loro infinite specializzazioni, la molteplicità dello psichico in cui l'anima (o quel che di essa è rimasto) smarrisce se stessa.
Il vero problema _ egli sottolinea _ sta nella "disfatta della mistica" laddove per mistica si intende l'esperienza del fondo dell'anima, disfatta da cui consegue l'idea della possibilità di una "scienza dell'anima" separata dalla filosofia, cioè "l'idea di trovare una verità dell'anima separata dalla verità in sé, dal valore in sé _ cioè da Dio".
L'equivoco sta proprio in questo permanere della separazione tra anima e spirito, tra le potenze dell'anima e il suo fondo: in quella separazione, di cristiana memoria, del "conosci te stesso" dal "conosci Dio".
In altri termini il problema è e resta la scissione tra una concezione personalistica e individuale dell'essere umano e una concezione universale e quindi spirituale del suo medesimo essere, che lo sa uno con Dio.
E' necessario però intendersi molto bene sui termini, non confondere cioè Dio, lo spirito, con un'entità tra le altre. Non si tratta di cercare utilitaristicamente una fede consolatoria, una credenza in qualcuno o qualcosa fuori di noi cui aggrapparsi, né di un modo per trovare a tutto risposta.
Si tratta invece di recuperare quel logos di cui Eraclito fu il primo assertore, di accedere a quella ragione nel suo doppio significato di "motivo profondo per cui qualcosa avviene" e "facoltà di comprendere da parte dell'uomo".
Se l'elemento psichico affonda le sue ragioni nel determinismo, nella relatività delle circostanze, il logos consente di comprendere più a fondo, di ritrovare la ragione, riportando all'Uno l'apparente molteplicità delle cose.
"Per quanto tu possa camminare percorrendo intera la via _ afferma Eraclito _ potresti mai trovare i confini dell'anima; tanto profondo è il suo logos".
Il tipo di comprensione di cui l'essere umano ha bisogno, cui anela la sua anima, è una comprensione tanto profonda da saper andare al di là di ciò che è contingente e quindi mutevole.
Questo spiega la necessità che la psicologia ha di ritrovare le proprie radici nella filosofia, per non smarrirsi in ragioni molteplici, nelle innumerevoli specializzazioni che finiscono per affermare tutto e il contrario di tutto, restando in quella sterilità di cui l'anima soffre quando è lontana dal suo fondo, dal logos.
La via è innegabilmente quella del distacco _ qui torniamo all'importanza del messaggio eckhartinano _ quale riconoscimento e superamento dell'appropriazione, della Eigenschaft, dell'io. Ciò richiede il passaggio attraverso la morte dell'anima che è insieme morte di Dio quale Dio determinato nei modi, frutto di psicologismo.
Compito prioritario di tutti noi che ci occupiamo dell'anima e delle sue sofferenze, che abbiamo cioè a che fare con la cura animarum, è quello di mantenere ben presente la natura profonda di ciò di cui ci stiamo occupando, per non perpetrare quella insana scissione dell'anima dalla sua più autentica origine.
"La malattia dell'anima _ concludiamo con Vannini _ è il restare anima, confinata nella prigione del particolare, dello psichismo, e non diventare quello che realmente è, l'universale spirito. Essere spirito, diventare spirito, è, in parallelo, la salus: conoscenza di sé e conoscenza di Dio."

(*) M. Vannini "La morte dell'anima" Edizioni Le Lettere - Firenze 2003


Agnese Galotti


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