Home Anno 16° N° 59 Pag. 1° Agosto 2007 Agnese Galotti


Agnese Galotti
 RICERCHE 

MASCHILE - FEMMINILE; SINGOLARE - PLURALE.

"Parlare di "genere" è parlare di relazioni, di linee di confine, di pratiche, di identità, di immagini, di atteggiamenti... "

Parlare di Maschile e Femminile sembra la cosa più "naturale": ci viene immediato, per esempio, individuare se l'interlocutore che ci troviamo di fronte sia maschio o femmina: è una distinzione che compiamo quasi automaticamente.
Dunque nella percezione immediata si tratta di una coppia di concetti opposti, il cui criterio di "differenza" ci appare a prima vista scontato, oggettivo, indubitabile.
Tuttavia può accadere che "qualcosa non ci torni": l'automatismo si inceppa e ci troviamo ad uscire da questa comoda dimensione immediata e a domandarci: "sarà maschio oppure femmina?".
E' questo il momento in cui, caduta l'ovvietà, possiamo trovarci a "riflettere" un poco su questi concetti, possiamo accorgerci di un alone di mistero che li avvolge: non ci appaiono più così chiari e scontati, aspetti dal significato incontrovertibile, possiamo cioè scorgerli nel loro aspetto oscuro, inconscio, "archetipico".

Questo accade quando ci troviamo a passare dalla dimensione "segnica" (più semplice ed immediata, che riguarda il segno come qualcosa che "sta per" qualcos'altro, un "significante" che rimanda ad un preciso "significato", es.: corona sta per Re, ) a quella "simbolica", (più complessa perché - almeno secondo l'accezione junghiana - rimanda a qualcosa di ignoto o di almeno relativamente sconosciuto, "simbolo" quindi come dimensione in cui c'è un "eccedenza di senso", rispetto a quanto già conosciuto e "la sua forza simbolica dura finché dura questa eccedenza; quando si "svela" il significato di un simbolo, quando diviene totalmente conosciuto, questo cessa di essere un simbolo e si risolve in segno) allora cominciano a delinearsi mille dubbi e incertezze, si amplia l'orizzonte mentale e simbolico e cominciano ad affiorare domande aperte, le cui risposte appaiono più ipotesi provvisorie che non affermazioni oggettive e tanto meno assolute.

Che cosa è veramente Maschile e che cosa Femminile?
In che cosa si differenziano realmente gli Uomini dalle Donne?
Quanto le differenze sono davvero "innate" ed immutabili e quanto invece "apprese", socialmente e culturalmente determinate e dunque mutevoli?
A questo punto il dubbio di cadere preda di stereotipi e luoghi comuni emerge abbastanza facilmente, quale sano compagno di percorso riflessivo.

Esistono, tra l'altro, fasi della vita umana in cui non è così facile intuire l'identità di genere dell'altro: nei neonati, per esempio e qualche volta anche in persone molto anziane, i cui lineamenti tendono a farsi piuttosto androgini, quasi che, all'inizio e alla conclusione del ciclo vitale, certi aspetti dell'identità personale (il genere, ma anche altre caratteristiche dell'Io), così importanti nelle fasi centrali della vita, andassero attenuandosi.

Il fatto poi che oggi più che in passato sia evidente, sia "alla ribalta" il fenomeno del transessualismo, ovvero l'esistenza di persone le cui caratteristiche sessuali sul piano fisico non corrispondono a quelle psicologiche e quindi al vissuto profondo della propria identità di genere, non fa che agire come ulteriore stimolo ad interrogarci in proposito.

Per cercare di delineare con un po' di chiarezza l'ambito entro cui collocare questa riflessione sugli aspetti dell'identità umana e personale, che, come in grammatica, si declinano secondo categorie del tipo "Maschile e Femminile", ma anche "Singolare e Plurale", proviamo a focalizzare quel complicato intreccio tra differenze e somiglianze, in cui si insinuano e si stratificano numerosi pregiudizi, confusioni e sovrapposizioni di concetti diversi, causa spesso di equivoci ed errori logici.

L'essere umano, in comune con molti altri viventi del pianeta, presenta un aspetto differenziale fondamentale, che riguarda il "sesso": ovvero si definisce secondo due categorie sessuali, ben distinte, relative alla funzione riproduttiva: Maschio (che può fecondare) e Femmina (che può essere fecondata, partorire e allattare).

A differenza però delle altre forme di vita, l'umanità presenta queste categorie secondo più livelli complessi e articolati, che si mescolano ad altri aspetti dell'identità:

1) c'è un livello genetico, che riguarda l'esistenza, tra i 46 cromosomi presenti in ogni cellula, della coppia di "cromosomi sessuali" XX o XY, responsabili rispettivamente dello sviluppo di caratteristiche sessuali femminili o maschili; 2) c'è un livello biologico-ormonale, (differenti organi ed apparati sessuali e differenti livelli di produzione e di distribuzione di testosterone, estrogeni, progesterone), livello strettamente collegato al primo; 3) c'è un livello psicologico-sociologico-culturale, dunque relazionale, soggetto ad apprendimento, che riguarda la cosiddetta "identità di genere" secondo cui determinate caratteristiche (non necessariamente relative alla riproduzione) vengono identificate come prettamente "maschili" e altre come prettamente "femminili"; ciò prevede che ciascuno si identifichi e si riconosca nel genere di appartenenza e si comporti in maniera conforme alla propria identità di genere (da qui il "ruolo di genere" quale manifestazione comportamentale, socialmente evidente, dell'identità di genere).

Questi tre livelli: genetico, biologico e, potremmo dire, culturale o relazionale, interagiscono tra loro in modo complesso ed articolato, per cui risulta impossibile indagarne uno considerandolo in maniera "pura", cioè totalmente isolato dagli altri.
Non è neppure così sensato metterli in relazioni di tipo causa/effetto, poiché sono soggetti ad influenze e condizionamenti reciproci e vicendevoli, più di quanto non possa sembrare.

Quindi se ci si interroga, in maniera corretta, su che cosa sia Maschile e cosa Femminile, e su come si sviluppano rispettivamente l'essere Maschio e l'essere Femmina, sia sul piano individuale che su quello sociale, è necessario tenere conto di tutti questi aspetti e del loro reciproco intrecciarsi, componendoli in una visione il più possibile d'insieme.

La differenza di genere traccia, come ogni "differenza", un confine: il confine può assumere un significato reale, metaforico o simbolico e rinvia sempre alle coppie antitetiche di appartenenza/esclusione, di uguaglianza/diversità, di io/altro.

Ma dove ci sono confini esistono degli inevitabili "sconfinamenti" ovvero esistono delle realtà, degli elementi (sia concreti e sia intrapsichici) che non possono o non riescono a "schierarsi" in maniera chiara e netta dall'una o dall'altra parte rispetto al confine, delle realtà che, pur rappresentando numericamente una minoranza, hanno tuttavia una certa consistenza e cominciano ad pretendere di avere anche una certa visibilità sociale.

Inoltre questi fattori si mescolano secondo alchimie varie e danno vita ad infinite configurazioni, tante quanti sono i soggetti umani, maschi o femmine che siano, per cui non è possibile più di tanto tracciare dei confini rigidi essendo molto ampia la differenziazione intra-genere.

Vediamo ora alcuni "sconfinamenti reali", relativi al genere:

- intersessualismo (ovvero casi di ambiguità morfologica): sul piano genetico-biologico esistono soggetti che vengono al mondo con apparato sessuale non ben determinato (grande clitoride/piccolo pene) o con caratteristiche morfologiche non coerenti con quelle genetiche; es.: i 18 pseudoermafroditi del villaggio di Salinas, a Santo Domingo, riconosciuti alla nascita come femmine, allevati come tali fino alla pubertà, quando comparvero una serie di trasformazione (voce, muscoli, barba, genitali) in senso maschile, e si trovarono a 16 anni a dover decidere sulla propria identità di genere (probabile mutazione genetica dovuta ai numerosi matrimoni tra consanguinei) e, a differenza di quanto accade di solito (dove le pressioni socio-ambientali tendono a scongiurare il cambiamento di genere), 16 scelsero di passare all'identità maschile.
- transessualismo (ovvero discordanza tra sesso gonadico e identità di genere): si tratta di soggetti la cui identità di genere (il riconoscersi uomo o donna) non concorda con quella biologica, con le caratteristiche sessuali inscritte nel loro corpo, per cui si trovano spinti a "transitare" da una identità all'altra (M to F; oppure F to M) operando a vari livelli, da quello estetico, ormonale, fino agli interventi chirurgici, trasformazioni assai consistenti sul proprio corpo. Sono situazioni che evidenziano quanto potente sia il vissuto relativo all'identità di genere, almeno nella nostra cultura attuale, rispetto all'imporsi delle caratteristiche del corpo, tanto che è su quest'ultimo che si interviene cercando di attuare la trasformazione verso il genere in cui è posta l'identità. Trattasi di una realtà che è sempre esistita, e che ha assunto significati e valori diversi nei differenti contesti culturali. Per esempio esistono figure istituzionalizzate "transgenere", tra gli indiani del Nord America, i "bardache", ovvero persone anatomicamente di un sesso che però potevano assumere occupazioni lavorative, abbigliamento e status del sesso opposto; allo stesso modo in altre culture il transito da un genere all'altro si riscontra in genere personaggi dotati di "mana", di poteri straordinari, la cui diversità viene interpretata come segno "numinoso", di contatto con la dimensione dello spirito (sciamani, guaritori, santoni,...). Esiste inoltre il fenomeno della cosiddetta "anima-nome" tra gli Inuit dell'Artico, dove, essendo ogni nascita prima di tutto una reincarnazione, una volta stabilito - attraverso riti sciamanici - chi si sta reincarnando, il nuovo/a nato/a ne assumerà l'identità, genere e nome compreso, nella totale incuranza del sesso biologico del nuovo nato. Accade così che ad una neonata venga attribuita l'identità del nonno defunto, di cui assume anche il nome (l'Anima-nome), finché alla pubertà la bambina fin qua cresciuta come maschio, cambia genere e si trova a dover imparare comportamenti, atteggiamenti, attività e ruoli propri del sesso biologico, così da assolvere i compiti sociali di matrimonio e riproduzione (lo stesso vale per i maschi), trasformazione tutt'altro che indolore, soprattutto per chi passa da M a F, con relativa discesa di status.
- bisessualità : per quanto riguarda l'orientamento sessuale, inoltre, genericamente si tende ad accettare la distinzione tra omosessualità ed eterosessualità; in questo caso lo "sconfinamento" riguarda la "bisessualità", ovvero quella caratteristica di persone che vivono e praticano la loro sessualità sia con partners dello stesso sesso e sia con partners del sesso opposto.

Già qui possiamo richiamare alla mente una serie di confusioni e sovrapposizioni che denunciano quanto ci sia difficile ancora concepire in modo appropriato le varie forme di vita e di esistenza, nel rispetto delle differenze e mettendo tra parentesi pre-giudizi di presunta "normalità" che generano talvolta gratuita "patologizzazione".

Per cui, ad esempio, non è vero che:
- se una persona fa una scelta omosessuale "non ha ben chiaro se è maschio o femmina", (confusione tra l'orientamento sessuale e l'identità di genere); - se uno è biologicamente e psicologicamente normale necessariamente sceglie l'oggetto sessuale tra i rappresentanti del sesso opposto (associazione e sovrapposizione tra "normalità" ed "eterosessualità"); - se c'è una disforia di genere necessariamente c'è poi la necessità di cambiare biologicamente sesso, (ovvero non tutti i "transiti" richiedono di "operarsi ai genitali"); - se una persona ha rapporti sessuali sia con uomini e sia con donne "non ha ancora scelto" la propria identità di genere (confusione tra bisessualità, transessualità e/o immaturità psicologica); - all'interno di una coppia omosessuale ci sia necessariamente "chi fa l'uomo" e "chi fa la donna" (tendenza a forzare l'organizzazione del comportamento omosessuale sullo schema di quello eterosessuale); ... per nominare alcune delle confusioni più diffuse.

Va detto anche che tutto ciò che ha a che fare con l'ibrido, con l'ambivalenza, la trasgressione dei confini di genere, l'omosessualità e l'ambiguità sessuale, se da un lato inquieta perché mette in discussione quella presunta e rassicurante visione netta, oggettiva, indiscutibile,... contemporaneamente incuriosisce e stimola fantasie, il che si rende evidente sul piano della moda, della pubblicità, nel mondo dello spettacolo e della musica.
Sembra quindi che, accanto a maschilità e femminilità egemoniche, si moltiplichino immagini "non tradizionali" di identità di genere, che non per questo vanno considerate "patologiche" o "non normali".
Tuttavia l'ibridazione di maschile e femminile, più che avvenire nel senso del superamento della distinzione di genere - cosa che sembra inquietare come un possibile "ritorno al caos, all'indistinto primigenio" - sembra avvenire invece per distillazione di ulteriori forme più sottili e sofisticate della differenza.
Tanto che alla IV Conferenza sulle donne dell'Onu a Pechino qualche anno fa si proponeva di dividere i generi in 5 categorie: uomo, donna, omosessuali e transgender (dove però non risulta troppo chiaro se la quinta categoria sia un'ulteriore differenziazione tra gli omosessuali M e F o tra i transgender M to F o F to M).

Dunque non è in discussione l'esistenza della differenza di genere bensì "il modo di concepirla, di interpretarla e di praticarla": per quanto reale sia la distinzione di genere, non sembra più di tanto sensato tracciarla in termini troppo rigidi e definiti, se si tiene conto della varietà di ciò che esiste.

Quindi se la nostra rappresentazione del genere - per ragioni di "organizzazione concettuale e sociale" - tende ad essere dicotomica, come gran parte del nostro modo "binario" di pensare per opposti (freddo - caldo; luce - buio; bene - male; vero - falso; ....) seguendo la regola del "principio di non contraddizione" ("a" non è "b"), la realtà sembra esserlo meno: essa si mostra molto più variegata e sfaccettata di come noi tendiamo ad ordinarla mentalmente, utilizzando spesso "semplificazioni" o "generalizzazioni".

Dunque la necessità sembra essere quella di rendersi disponibili a transitare, percettivamente e concettualmente, da una dimensione univoca o binaria, in cui prevale l'opposizione e l'esclusione reciproca, ad una dimensione plurale, multipla, capace di reggere la differenza nelle sue molteplici forme.
Come sembra suggerire Derrida, laddove sostiene che: "...l'opposizione è due. La differenza invece è un numero infinito di sessi non preordinati".

Ed è proprio l'esistenza di questi spazi intermedi, di questi sconfinamenti, il trovarci a riconoscere e a riflettere su questi "varchi di confine" che può aiutarci a mettere in discussione la presunta oggettività di differenze vissute come opposizioni, e come tali date per scontate o, peggio ancora, considerate "innate" e pertanto immutabili.

C'è da imparare a contenere la tendenza a considerare ciò che ci è "familiare" - perché maggiormente diffuso o perché più conforme "alla propria esperienza" - come "naturale" o "normale" (quindi contrapposto a "patologico" e "contro-natura") cadendo in una forma di "riduzionismo" del reale, che apre la strada della "patologizzazione" o dello "scandalo" per tutto ciò che si allontana da quella norma: destino che ha incontrato per esempio l'omosessualità (da tanti ancora concepita come "contro-natura") e che sta incontrando il transessualismo, fino a ieri concepito come probabile manifestazione di una qualche psicosi più o meno delirante sottostante, oggi invece riconosciuta come una "disforia di genere", senza alcun necessario collegamento ad altri disturbi di personalità.

C'è bisogno di molta umiltà, di molta disponibilità e apertura mentale per disporsi ad indagare questo "genere di questioni" o, come scrive Butler questi "guai del genere".

Ma che cosa si intende per "genere"?
La definizione di "genere" proviene dalla grammatica: "gender" in inglese ha questa accezione (e non le altre che troviamo in italiano, dove si parla di genere letterario o musicale, di genere-specie-razza,...) e si diversifica nelle varie lingue.
Alcune lingue prevedono due generi (come l'italiano) mentre altre includono il neutro e si fanno tripartite.
Significativo è il fatto che vari concetti che sono al femminile in una lingua sono al maschile in un'altra (es.: il terrore è femminile in francese (la terreur) maschile in tedesco (der Schrecken), il mare,...).

Nella sua accezione più tradizionale "genere" sta ad indicare la differenza culturalmente e socialmente definita tra uomini e donne, basata sulla differenza biologica tra maschio e femmina, per cui il sesso sarebbe il substrato biologico da cui si sviluppa il genere, quale sovrastruttura culturale e sociale ad esso connessa.
Tuttavia il rapporto tra sesso e genere si è rivelato sempre molto più complesso ed intricato di quanto questo paradigma chiaro e rassicurante non indurrebbe a pensare (vedi gli sconfinamenti di cui sopra).
Numerose sono le "variabili" politiche, sociali e culturali che si sono insinuate, attraverso il genere, continuando a cercare una sorta di "avvallo biologico" nelle differenze tra i sessi, tentando di creare uno pseudo fondamento biologico a pregiudizi e luoghi comuni assolutamente discutibili (es.: donna più debole, uomo più forte; donna più emotiva, uomo più razionale,...)
Gli studi in corso sono tanti: sul piano psicologico, sociologico, antropologico,... e le ipotesi di fondo vanno da un estremo all'altro:
- da chi concepisce l'esistenza dei due sessi alla base dell'identità di genere, - a chi concepisce, in un ribaltamento totale, il genere come un processo culturale che produce identità sessuali, o quanto meno determina i modi in cui esse vengono intese, inclusa la nostra percezione che esistano due e solo due sessi distinti.

In ogni caso sembra legittimo domandarsi: perché il sesso dovrebbe originare - come ha originato - una "classificazione", un ordine gerarchico, una asimmetria?
Su quali necessità si fonda la suddivisione asimmetrica di potere tra maschi e femmine, così evidente e ancora insuperata un po' ovunque?
Su quali eventuali differenze reali si basa tale asimmetria o piuttosto quali differenze ha invece esaltato e mistificato per giustificare se stessa?
Esigenze politiche, si direbbe, di organizzazione del sociale in categorie distinte - l'una opposta all'altra e l'una "sopra" l'altra - hanno sfruttato le categorie di genere per crearsi un fondamento pseudo-biologico, dunque presunto oggettivo.

L'origine della nozione di genere e delle riflessioni sull'organizzazione dei rapporti di genere è infatti strettamente legata, non a caso, al movimento femminista degli anni settanta, da cui sono scaturiti studi e approfondimenti in proposito su vari piani culturali: sociologico, antropologico, psicologico, psicoanalitico, ecc...
Al concetto di genere si è così associata la graduale possibilità di trascendere la dicotomia maschio-femmina e di considerare una pluralità di modi di vivere il corpo, l'identità sessuale, il desiderio erotico, la femminilità, la maschilità,.. come è accaduto nei più recenti "gay and lesbian studies" e, successivamente nei "queer studies".
Gradualmente questi studi, insieme a quelli "sulle donne" e "sugli uomini" (Connell), ci stanno portando a considerare il genere come strumento di analisi sociale, invitandoci a considerare la maschilità e la femminilità come "entità prismatiche e conflittuali, nelle quali si fronteggiano visioni egemoniche e definizioni marginali". (Roberta Passatelli)

Le versioni più recenti degli studi sul genere, infatti, tendono a spostare l'accento dalla differenza di genere alle relazioni tra generi: in questo senso "genere" riguarda soprattutto relazioni sociali, al cui interno agiscono individui e gruppi.
Si tratta quindi di una "struttura sociale", non biologica né necessariamente dicotomica, dunque: una particolare configurazione dell'organizzazione sociale che implica una specifica relazione con il corpo.
La definizione di Connell (sociologo australiano)è: "il genere riguarda il modo in cui la società si rapporta ai corpi umani, e i diversi effetti che questo ha nelle nostre vite personali e sul destino della nostra collettività".

Così il concetto di genere si è sempre più mostrato come tutt'altro che stabile e univoco: ha dato spazio invece a ipotesi e formulazioni anche molto diverse tra loro, testimoniando quanto "creata" sia la differenza, cioè quanto poco sia "oggettivabile".

Per esempio il modello di differenza tra i sessi che oggi condividiamo si è affermato recentemente (da circa due secoli), sostituendone uno per certi versi opposto.
Ciò che oggi viene comunemente detto e pensato - per esempio che le donne sono più "romantiche", che desiderano soprattutto avere "relazioni personali" e che sono meno interessate al sesso di quanto non lo siano gli uomini, mentre quest'ultimi avrebbero invece "delle esigenze più pressati" in fatto di pulsioni - nasce secondo alcuni nel settecento e smentisce ciò che era stato considerato "vero" per secoli.
Secondo il modello precedente, infatti, alle donne era attribuito un desiderio erotico sfrenato, essendo le donne meno dotate di ragione e quindi meno capaci di mediare le spinte pulsionali; gli uomini invece, più "maturi", prediligevano l'amicizia e le relazioni personali.
Molti dei "processi" alle presunte streghe erano incentrati su questo concetto di sfrenatezza erotica femminile.

Ciò che salta agli occhi è il fatto che un concetto che segna una differenza esistente tra "due" abbia fin qui portato con sé anche una "classificazione", una valenza gerarchica, una asimmetria sul piano del potere: quasi sempre i due generi sono stati considerati, storicamente, anzi "naturalmente", come contrapposti, come antagonisti rispetto al potere, come "uno" superiore all'"altro".
Anche da un punto di vista psicologico varrebbe la pena chiedersi come mai?
E' forse quello dell'antagonismo l'unico modo in cui, in quanto umani, possiamo concepire la relazione tra differenti?
Non è forse anche questo il sintomo di una caduta nella dimensione "segnica" e di una relativa perdita di contatto con la "dimensione simbolica"?

Sarebbe forse il recupero di quella funzione simbolica a permettere a ciascuno di riconoscersi "al plurale", sia maschile che femminile, senza per questo perdere la propria identità di uomo o di donna.

Altro aspetto piuttosto evidente è la tendenza ad amplificare le differenze ben più delle somiglianze, una tendenza a riconoscere "sé", la propria identità, per differenza, per esclusione rispetto all' "altro" (il bambino che afferma con ostentazione: "non sono mica una femminuccia!"), il che sembra aver favorito lo strutturarsi della divisione in ruoli sociali, economici e di potere, che da tempo chiedono nuova riflessione e riformulazione.

Da qui tutta una serie di "luoghi comuni" che, in quanto condivisi continuano ad affermare se stessi e a ripetersi, tipo: la credenza che le donne siano "biologicamente" più emotive, predisposte ad abilità linguistiche, al lavoro nel sociale, all'atteggiamento di "presa in carico e di cura"; mentre l'uomo sarebbe "biologicamente" più razionale, predisposto al pensiero astratto, all'attività scientifica e alla matematica e ad attività fisiche di "movimento".
In realtà il fatto che siano rilevabili delle differenze nell'atteggiamento mentale - cosa che è più relativa di quanto non si pensi: in qualsiasi funzione cerebrale è assai consistente la sovrapposizione tra i due sessi! - e nelle predisposizioni comportamentali non dice nulla sulle cause: l'attribuzione "biologica" sembra essere del tutto arbitraria se si tiene conto di quanto l'educazione - e dunque la visione del mondo dei genitori - incida.

Maschi e femmine crescono in modo diverso praticamente dal momento della nascita, (se non prima!). Le differenze di comportamento da parte dei care-giver e dell'ambiente sociale ed educativo verso maschi e femmine inducono differenze che possono coinvolgere ed esprimersi anche sul piano biologico (alle femmine si parla di più, i maschi vengono incoraggiati verso giochi e comportamenti di movimento che rafforzano il fisico,...). A questo proposito risulta ancora attuale - nonostante risalga agli anni '70 - il testo di Elena Gianini Belotti "Dalla parte delle bambine".
Concordo con lei quando sintetizza così:
"L'operazione da compiere...(è) di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene."

Dunque l'"essere uomo" e l "essere donna" non sono condizioni stabilite una volta per tutte, né tanto meno qualcosa di "innato" o di solo "culturalmente determinato": è piuttosto il risultato di un divenire relativo al formarsi dell'identità e della personalità globale di ciascun soggetto, che crescendo evolve e si trasforma.

Si tratta di un processo evolutivo quotidiano, di una "pratica" che ci coinvolge, consciamente o inconsciamente, nel "fare il genere": ogni giorno nel modo in cui ci comportiamo, noi "reclamiamo il nostro posto nell'ordine di genere", oppure "reagiamo al posto che in quell'ordine ci viene riservato"; in questo modo stabiliamo di volta in volta le modalità di rapporto con la nostra identità e con l'altro sesso.
Si tratta di una pratica: un "fare il genere" attraverso graduali e progressivi passaggi di consapevolezza, attraverso conquiste identitarie che sono sempre più "plurali" di quanto non siano univoche e assolute.

E' il frutto del mescolarsi alchemico di aspetti innati, relativi alla personalità specifica, appresi in quel particolare ambiente relazionale in cui si cresce, all'incontro con aspetti maschili e femminili riconosciuti nelle persone di riferimento (madre, padre, fratelli e altre persone che hanno avuto ruolo educativo importante) e al modo in cui vi si reagisce.

Quella di genere è forse la distinzione categoriale più "basica" secondo cui l'umanità si è differenziata (poi ci sono state le differenze in termini di "razze", "etnie", livelli sociali, "culture", "religioni"...).
La prima "alterità" legata ad un aspetto fondamentale dell'identità, quindi anche la prima cartina di tornasole del tipo di relazione che si è sviluppata e che tende a prevalere tra l'Uno e l'Altra (o gli Uni e le Altre).
Il tipo di relazione che viene ad instaurarsi tra questi gruppi è forse l'aspetto più interessante di ogni società, quello che può svelarne gli aspetti più significativi.

Il rapporto esistente tra uomini e donne in una data civiltà potrebbe essere considerato una chiave del livello di "competenza relazionale" raggiunta, il modo di vivere l'alterità, e forse l'indicatore di come sapranno coniugarsi tutte le altre differenze (religiose, culturali, etniche, linguistiche,...).
Realizzare la propria identità di uomo o di donna è sicuramente più il frutto di un processo di "integrazione", più o meno armonica, di parti diverse che non il risultato di processi di esclusione di aspetti "controsessuali" e dunque "altrui".

In questo senso la dimensione "archetipica" junghiana di "Anima" e "Animus", (intesi rispettivamente come l'insieme degli aspetti femminili presenti in forma inconscia nell'uomo, e l'insieme degli aspetti maschili presenti in forma inconscia nella donna), al di là di aspetti assolutamente datati e pregiudiziali, propri del tempo, propone una visione di potenziale completezza del soggetto umano che ha da esplicitare in sé aspetti sia maschili che femminili, (alcuni dei quali appunto inconsci) per "individuarsi" ovvero raggiungere quella completezza rappresentata dalla "conjuncio oppositorum", di cui è simbolo, nel processo alchemico, la figura dell'androgino (quale "distillato" finale del processo individuativo).

Ci sono varie possibili evoluzioni del rapporto tra l'Io e le figure animiche inconsce:
- possono essere riconosciute ed elaborate attraverso un processo di individuazione personale (ciò che porta il soggetto a "diventare ciò che egli realmente è" nella sua identità più ampia e globale); - possono essere proiettate su donne o uomini conosciuti con cui si tende ad instaurare forme di relazione intima ma anche di profonda dipendenza (il compagno o il marito su cui si proiettano aspetti propri non riconosciuti come tali - il che sarebbe causa del profondo innamoramento prima nonché delle tragiche "rotture" quando cade il velo della proiezione e si svela l'altro, per quello che realmente è); - ci si può identificare con tali aspetti inconsci, cadere vittima di "possessione dell'archetipo", il che può condurre a stati di profonda confusione fino a stati psicotici con invasione da parte di contenuti inconsci;

Pur essendo assolutamente discutibili i contenuti che Jung tendeva ad attribuire rispettivamente all'Anima e all'Animus, vale la pena cogliere questo invito all'integrazione di aspetti di entrambi i generi che si affacciano in ciascuna personalità.

Concludendo: oltre che sul piano della crescita armonica e della maturazione personale di ciascun soggetto umano, sembra che una profonda e rinnovata riflessione e ridefinizione di Maschile e Femminile, di ciò che significa rispettivamente "essere uomo" ed "essere donna" si renda oggi più che mai necessaria se, come ricordano Money e Tucker (autori del più citato saggio sul tema, "Essere uomo essere donna"):
"Gli imperativi biologici fissati per tutti gli uomini e per tutte le donne si riducono a quattro: solo un uomo può fecondare, solo una donna può avere mestruazioni e gravidanze e allattare. Tutte le altre differenze sessuali...sono...negoziabili..." Ora se teniamo conto del fatto che i nostri tempi stanno portando profonde trasformazioni anche a questi stessi "capisaldi" della differenza di genere (allattamento artificiale, inseminazione artificiale, bambini in provetta,....) forse si fa urgente confrontarci con la valenza simbolica di questi concetti, con questi archetipi, per ri-scoprire di volta in volta, i loro significati realmente sentiti come "attuali" e per alleggerirli di quelle che sono "vestigia del passato" di cui non solo è necessario liberarsi ma anche superare gli strascichi comportamentali ed istituzionali che ancora ci accompagnano.

Riferimenti bibliografici:

Mila Busoni - "Genere, sesso, cultura" - Carocci 2000
Valeria Siniscalchi - "Antropologia culturale" - Carocci 2001
Gloria Persico - "Bisessualità e dintorni" - Franco Angeli 2004
Robert W. Connell - "Questioni di genere" - Il Mulino 2006
Elena Giani Belotti - "Dalla parte delle bambine" - Feltrinelli 1973
Lesly Rogers - "Sesso e cervello" - Einaudi 2000
Nancy Chodorow - "Femminile maschile sessuale" - La Tartaruga 1995
Judith Butler - "La disfatta del genere" - Meltemi 2006


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