Home Anno 19° N° 63 Pag. 8° Giugno 2009 Carla Piccini


Carla Piccini
 STREAM OF CONSCIOUSNESS 

SOLITUDINE

"Beata solitudo, sola beatitudo "

Non si può parlare di solitudine senza prima ricordare come essa, oltre che essere un modo un po' generico per indicare la sofferenza umana, rappresenti una delle più grandi consolazioni e ristori dell'anima, per ogni persona di coscienza.
Dalla beatitudine alla "dannazione". E viceversa.
La " solitudine" ci incontra in tanti modi.
Il modo più drammatico è quando si presenta sotto forma di assenza: si tratta di una solitudine essenziale ; ne va dell'essenza stessa di noi che svanisce, che è lontana. Manca la presenza, e prevale un senso di estraneità al tutto che sgomenta.
E' bello -dopo- e conforta, poter sviscerare da quale tipo di sensazioni siamo stati assaliti.
Altra solitudine paradossale che possiamo vivere: nella pienezza del sentirsi e nel contatto con la propria interiorità, incontrare la percezione di una grande mancanza, un bisogno di amore infinito, un po' perché forse tutti siamo stati o ci siamo sentiti deprivati, un po' perché forse non ci sappiamo molto amare.
Individuare la mancanza, prima ancora di cercare di colmarla, è una grande medicina.
Ogni tanto ci incontra quella solitudine in cui ci si sente impreparati , bambini, di fronte al compito che la vita ci ha assegnato. Ascoltarla significa anche tentare di contenere la nostra responsabilità, prendendo giusta distanza e prendendo coscienza dei nostri limiti, che spesso ci lasciano impotenti.
Di fronte a tutto questo l'insorgere del desiderio di fuggire, di evadere, o di superare, con la compassione per noi stessi, la tensione creativa che riscatta dalla sofferenza, il dialogo.
O di fronte a tutto questo l'altra faccia: la resa, il vuoto. Il vuoto vissuto. Non il vuoto eluso camuffandolo con falsi surrogati atti solo a generare noia ansia e paura.

Ancora una riflessione sull'umanissimo desiderio di fuggire: è concessa l'accoglienza della fuga , concesso il rifiuto di sé, per quello che ci si sente di essere nel tale momento, concessa la percezione del peso della propria vita, concesso l' impulso a non vivere. Bisogna aprire lo spazio sia all'impulso che non ne ha più voglia, che induce a sottrarsi, che al pensiero razionale che sa legittimare questa libertà. Quante volte ne abbiamo paura, se non panico? Pensiamo che non sia un pensiero percorribile, mentre è estremamente dignitoso permetterselo. Forse ci vuole aprire una piccola porta verso il distacco lento da questo corpo, che così tanto esige. Forse ci vuole mettere in contatto con una più ampia realtà, -attrazione verso il nulla-, verso qualcosa di molto più grande che non conosciamo. Non è detto che sia autodistruzione fine a se stessa. E' molto umano, è molto accorato, è molto sentimento.
Fin qui si è detto di sofferenza. Ci si può ragionare, quando si può ragionare, anche in altro modo:perché ci pesa , a ondate cicliche, il nostro destino, e perché si cerca di eluderlo?

Esiste anche un altro atteggiamento col quale possiamo leggere la fuga: il nostro destino coincide col nostro progetto esistenziale, che è il diritto di cui entriamo in possesso nel momento in cui arriviamo sulla terra. Perché dunque vittime, autoflagellanti, autoaggressive, piuttosto che soggetti responsabili, ma questa volta per diritto e non per dovere , della nostra esistenza? Perchè dirottare su di noi la nostra aggressività, impregnati di un sentimento di inferiorità interiorizzata, vuoi perché donne, vuoi perché minoranze, vuoi perché diversi, perché gregge, anziché riconoscerla come un nostro elemento costitutivo e fondante, di cui è bene farsi carico, come del nostro male, per poterci sentire cittadini del mondo?

Ancora un ultima domanda anch'essa senza risposta: ma alla fine, basta il soffocamento del progetto esistenziale, l'offesa subita all'impulso vitale a giustificare la negazione, la Noia, -"N"- maiuscola? Bastano i problemi, le difficoltà, le ansie da affrontare, i dolori, a esserne la spiegazione ?
Le emozioni ci fanno assaporare la Vita, e l'Amore ci porta dentro al centro di essa: è quella cosa lì, ed è nostra. Ma non ci possiamo fare niente se scappa di nuovo: non si può per questo essere dipendenti dalle emozioni, per paura di morire. Non si può sperare di essere sempre vivi , in vita, forse anche questo è nei patti.
Facciamoci porzioni: facciamoci momento di ogni piccolo momento che viviamo dell'immensità che è in noi, di ogni piccolo momento che viviamo dell'universale umanità. Facciamo noi stessi spettatori dell'uno e dell'altra. Accorgiamoci di stare solo nell'angolino della stanza dove vivono tanti "noi" e tanti "altri", oggi ieri e domani.


Carla Piccini


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