Home Anno 19° N° 64 Pag. 4° Novembre 2009 Antoine Fratini


Antoine Fratini
 ATTUALITA' 

LA SENTENZA "ABELA" E IL TRIONFO DELL'ORDINE

Salutari riflessioni sul cosiddetto esercizio abusivo della nostra professione

L'Ordine degli Psicologi esulta: la sentenza "Abela" (Marzo 2007) è finalmente passata in giudicato e quindi dovrebbe andare a costituire un precedente penale di richiamo nei casi di abuso della professione di psicologo.
Recenti pubblicazioni da parte di esponenti dell'Ordine lasciano intendere che la condanna ai danni di Francesco Massimo Abela, naturopata e omeopata laureato in filosofia, poggia sull'accoglimento da parte del giudice dell'argomentazione del PM secondo la quale rientrerebbero nelle finalità tipiche della professione di psicologo anche la sola "conoscenza delle dinamiche psicologiche" nonché la "promozione e il mantenimento dello stato di salute psicologico".
Se così fosse, tale sentenza potrebbe in effetti rappresentare un precedente atto per lo meno a bilanciare la giurisprudenza relativa alla questione dell'abuso della professione di psicologo, la quale giurisprudenza, come è noto, risulta sinora abbondantemente dalla parte degli imputati. Ma sarà effettivamente così?

Riprendiamo alcuni punti centrali degli interventi in oggetto. La psicologa Chiara Santi scrive1:
"Nel nostro caso, una diagnosi o un intervento interpretativo o direttivo, che miri ad analizzare e intervenire sulle dinamiche psichiche è già da considerarsi atto tipico anche qualora la diagnosi o l'intervento fossero completamente sbagliati ed avulsi da un qualsivoglia fondamento scientifico. Come a dire che sono lo strumento e il metodo di indagine, più che la qualità con cui la stessa viene condotta, a determinare l'illiceità o meno del comportamento (esattamente come chi prescrive e somministra un farmaco senza essere medico incorre nel 348 c.p. indipendentemente dal fatto che abbia consigliato il medicinale adatto al problema oppure no)" "Questa affermazione giurisprudenziale è fondamentale, perché applicabile in una molteplicità di situazioni in cui persone non iscritte all'Albo degli Psicologi mettono in atto azioni che "hanno per finalità la conoscenza dei processi mentali dell'interlocutore, con l'utilizzo di schemi e teorie proprie delle scienze psicologiche" .

Se si dovessero seguire alla lettera tali affermazioni, la sola interpretazione di un pensiero o di una fantasia altrui, che sono già da considerarsi di per sé delle "dinamiche psicologiche", risulterebbe proibita ai non psicologi! Come proibito risulterebbe qualunque colloquio da parte di non psicologi avente per finalità la conoscenza della psiche degli interlocutori! Se, al limite, riservare la psicoterapia (disciplina essenzialmente tecnica) al professionista in possesso di una adeguata e riconosciuta formazione poteva avere un senso, affermare che qualunque azione avente per finalità la conoscenza psicologica dell'interlocutore debba essere riservato agli psicologi ha del burlesco.
La novità della quale gli psicologi dell'Ordine esultano consiste quindi nel ritenere di potere riservare l'uso della psicologia agli psicologi! Come se uno scienziato o un artista potesse pensare di riservare la scienza agli scienziati e l'arte agli artisti! Francamente, più che un passo avanti, una simile posizione sembra un passo indietro per la psicologia italiana.
L'altro intervento che considereremo qui è rappresentato da una intervista2 rilasciata da Eugenio Calvi, ex Presidente dell'Ordine degli Psicologi del Piemonte, a Nicola Piccinini, amministratore di Altra Psicologia, dove si legge:

" (Eugenio Calvi) Mi sono occupato del caso Abela nel procedimento penale avanti il Tribunale di Ravenna per abuso della professione di psicologo, nella veste di perito della parte civile, che nella specie era l'Ordine degli psicologi dell'Emilia-Romagna, difeso dall'Avv. Colliva di Bologna. Il processo rivestiva una particolare importanza per la nostra categoria, in quanto si trattava di definire con precisione i limiti delle competenze dello psicologo, premessa necessaria per accertare se l'imputato - che psicologo non era - avesse compiuto atti tipici di questa professione. La sentenza, assai correttamente motivata, ha concluso per la condanna dell'imputato, ed è una sentenza definitiva, in quanto, pur avendola l'Abela impugnata, l'appello non è stato coltivato e pertanto la decisione del Tribunale è passata in giudicato.
Mio compito era rispondere ai seguenti quesiti:
- se l'attività dell'imputato avesse invaso il campo riservato alla professione di psicologo, e comunque rientrante nelle attività previste dalla Legge 56/1989 - in caso affermativo, quali di queste attività riconducibili alla previsione della citata legge abbia compiuto l'imputato - se l'attività dello psicologo, psicoanalista o psicoterapeuta sia rivolta esclusivamente al trattamento del disagio mentale e non possa invece riguardare situazioni fisiologiche (c.d. "di salute").
Le mie risposte, sostenute ovviamente da idonei argomenti, sono state affermativa al primo quesito, elencativa al secondo, e esplicativa all'ultimo, nel senso di adesione alla seconda alternativa. (...) Era necessario chiarire innanzi tutto che l'ambito di competenze dello psicologo non si esaurisce nella psicoterapia. La condotta dell'imputato, infatti, solo marginalmente poteva essere considerata "psicoterapeutica", ma era, tuttavia, certamente, specifica della nostra professione. Dunque andava messo in evidenza che lo psicologo non é solo colui che "cura", ma, pur rimanendo nell'ambito clinico, é anche quello che si occupa del mantenimento del benessere psichico, tanto che esiste, ormai da qualche decennio, la "psicologia della salute". Dunque, si può commettere abuso della professione di psicologo anche non facendo della psicoterapia e non occupandosi dell'eliminazione o attenuazione di quadri patologici, ovvero ponendo in essere comportamenti mirati alla promozione e mantenimento di stati di benessere psichico"
.

L'autore sottolinea che nella sentenza "Abela" sarebbe stata determinante l'affermazione secondo la quale ogni comportamento mirante alla promozione e al mantenimento di stati di benessere psichico deve intendersi come attività psicologica specifica. Ma questi autori veramente non si accorgono che, a seguire simili ragionamenti, dovrebbero denunciare per lo stesso motivo molti insegnanti di yoga, così come, per esempio, tutte quelle persone che tengono dei corsi su tecniche sciamaniche?! D'altra parte, la situazione esposta dai nostri autori non potrebbe in nessun modo riguardare la psicoanalisi, la quale non si occupa né della cura, né del mantenimento della salute (dei quali concetti ha una visione tutta sua), ma piuttosto dello sviluppo delle idee, del loro passaggio dal dominio dell'inconscio a quello della coscienza. In altri termini, la psicoanalisi aiuta il soggetto a fare chiarezza rispetto ai propri pensieri.
Più avanti lo stesso Calvi ribadisce che "(...) si devono ritenere specifici della professione di psicologo quei mezzi il cui uso si fonda sulla conoscenza dei processi psichici, e che consistono essenzialmente nell'osservazione, nel colloquio e nella somministrazione di test, aventi lo scopo di individuare particolari aspetti del funzionamento psichico, o, altri termini, che hanno la finalità della conoscenza dei processi mentali dell'oggetto indagato, avendo riferimento teorie proprie delle scienze psicologiche. Infatti, non tutte le osservazioni, non tutti i colloqui e non tutti i test hanno tali finalità, e quindi esistono, ovviamente, osservazioni, colloqui e test che non sono di esclusiva competenza dello psicologo" .

Riassumendo, se in assenza di iscrizione all'Ordine un tale si intrattiene con un amico per conoscerlo più profondamente, fino ad "entrare nella sua psiche", può essere denunciato per abuso della professione di psicologo! Veramente, in quel caso l'unica strategia che lo potrebbe scagionare sarebbe il puntare sulla natura amichevole, non professionale e quindi gratuita, della relazione. Dal che si desume che si può usare teorie e schemi psicologici per tentare di capire un interlocutore solo se il tutto avviene al di fuori di un ambito propriamente professionale. Che le argomentazioni relative alla pericolosità di mettere la psicologia e la psicoterapia in mano ai non esperti riconosciuti dall'Ordine siano motivate principalmente da preoccupazioni di ordine economico?
Ma l'aspetto a mio parere più interessante di questi interventi riguarda l'assoluta assenza di altri riferimenti, oltre a quelli già citati, circa le motivazioni adottate dal giudice nell'emettere la sentenza. Ora, se si leggono attentamente gli atti in questione troviamo che all'imputato sono stati contestati i seguenti fatti:
"...in assenza di titoli abilitanti alle professioni di medico chirurgo e di psicologo esercitava dette professioni, formulando diagnosi e prescrivendo farmaci omeopatici a innumerevoli pazienti...".

Dagli atti veniamo infatti a conoscenza che l'imputato non solo faceva diagnosi, ma dava ricette, interpretava disegni, suggeriva comportamenti da mettere in atto, prescriveva prodotti omeopatici, somministrava e parlava di cura. Ora, in particolare fare diagnosi e suggerire comportamenti sono interventi attivi e tecnici che possono chiaramente sconfinare nella sfera di attività dello psicologo. E' quindi evidente che l'attività dell'imputato sia andata ben oltre all'analisi conoscitiva dei suoi pazienti e che questi argomenti, proprio perché valutabili oggettivamente, sono stati decisivi nell'emettere la sentenza.
Tuttavia questi elementi, che non possono essere propriamente considerati dei "dettagli" di secondaria importanza nel commentare tale vicenda giuridica, vengono taciuti. Eppure il Dr. Calvi li conosce molto bene visto che è stato coinvolto in qualità di perito dal PM nel processo in questione.
Considerando che negli ultimi tempi l'Ordine, assieme ad alcune associazioni di categoria che partecipano al dibattito, continuano ad evocare tale sentenza e a parlarne con toni triomfanti, viene da chiedersi perché mai questi elementi oggettivamente determinanti siano stati taciuti. Così come ci si potrebbe chiedere come mai gli stessi enti non abbiano mai divulgato né commentato sui loro siti nessuno dei tanti precedenti penali relativi all'abuso della professione di psicologo e psicoterapeuta in loro sfavore al fine di informarne i propri membri e magari di intavolare un giusto dibattito sulla questione.

Antoine Fratini. Fidenza, il 19/12/2009 1) Chiara Santi, Una sentenza definitiva marca un deciso passo avanti contro l'esercizio abusivo della professione di Psicologo, Altra Psicologia, 17 ottobre 2009.
2) N. Piccinini, La tutela contro l'abuso di counselor, reflector e coach e simili è possibile! http://www.opsonline.it/psicologia-20954-tutela-abuso-professione-psicologo.html


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