Home Anno 19° N° 64 Pag. 6° Novembre 2009 Cristina Allegretti


Cristina Allegretti
 MITI E LEGGENDE 

I MILLE VOLTI DEL PUDORE

In ultima analisi il pudore non è nient'altro che una compassione del corpo per il corpo (*)

Max Scheler nel saggio "Pudore e sentimento del pudore" dice che il pudore "è un sentimento di colpa per l'io individuale in generale: non necessariamente per il mio io individuale, ma per l'io individuale come tale, ovunque esso sia dato in me o in un altro".
Per Platone, la giustizia è figlia del pudore. Il pudore diventa regolatore sociale in quanto mantiene l'uomo all'interno di una società, ma porta l'uomo anche a perseguire la strada di una sua autonomia.
Dal Protagora di Platone possiamo vedere nel mito di Prometeo ed Epimeteo la nascita del pudore come dono degli dèi offerto agli uomini per poter vivere all'interno del sociale, e dunque il pudore come fondamento della polis greca.

"Tempo vi fu in cui esistevano gli dèi, ma non le stirpi mortali".
Poi che giunse anche per le stirpi mortali il momento fatale della loro nascita, gli dèi ne fanno il calco in seno alla terra mescolando terra e fuoco e tutti quegli elementi che si compongono di terra e di fuoco, Ma nell'atto in cui stavano per trarre alla luce quelle stirpi, ordinarono a Prometeo e ad Epimeteo di distribuire a ciascuno facoltà naturali in modo conveniente, Epimeteo chiede a Prometeo che spetti a lui la cura della distribuzione.

E quando avrò compiuto la mia distribuzione - dice - tu controllerai.
E così, avendolo persuaso, si pone a distribuire.
Ora, nel compiere la sua distribuzione, ad alcuni assegnava forza senza velocità, mentre forniva di velocità i più deboli; alcuni armava, mentre per altri che rendeva per natura inermi, escogitava qualche altro mezzo di salvezza.
A quegli esseri che rinchiudeva in un piccolo corpo, assegnava ali per fuggire o sotterranea dimora; quelli che, invece, dotava di grande dimensione, proprio con questo li salvaguardava.
E così distribuiva tutto il resto, sì che tutto fosse in equilibrio.
Ed escogitò tale principio preoccupandosi che una qualche stirpe non dovesse estinguersi.

Dopo che li ebbe provvisti di mezzi per sfuggire le reciproche distruzioni, escogitò anche agevoli modi per proteggerli dalle intemperie delle stagioni di Zeus: li avvolse, così, di folti peli e di dure pelli, che bastavano a difendere dal freddo, ma che sono anche capaci di proteggere dal caldo e tali inoltre da essere adatti quali naturale e propria coperta a ciascuno, quando avessero bisogno di dormire.
E sotto i piedi ad alcuni dette zoccoli, ad altri unghie e pelli dure prive di sangue; ad alcuni procurava un tipo di alimento, ad altri un altro tipo; ad alcuni erba della terra, ad altri frutti degli alberi, ad altri ancora radici; ad alcuni poi dette come cibo la carne di altri animali, ma a questi concesse scarsa prolificità, mentre a quelli che n'erano preda abbondante prolificità, sì che la specie loro si conservasse.
Solo che Epimeteo , al quale mancava compiuta sapienza, aveva consumato, senza accorgersene, tutte le facoltà naturali in favore degli esseri privi di ragione: gli rimaneva ancora da dotare il genere umano e non sapeva davvero cosa fare per trarsi di imbarazzo.

Proprio mentre si trovava in tale imbarazzo sopraggiunse Prometeo a controllare la distribuzione: vede che tutti gli altri esseri viventi armoniosamente posseggono di tutto, e che invece l'uomo è nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi: era oramai imminente il giorno fatale, giorno in cui anche l'uomo doveva uscire dalla terra alla luce.
Prometeo allora, trovandosi appunto in grande imbarazzo per la salvezza dell'uomo, ruba a Efeso e ad Atena il sapere tecnico , insieme con il fuoco - ché senza il fuoco sarebbe stato impossibile acquistarlo o servirsene - e così ne fece dono all'uomo.
L'uomo, dunque, ebbe in tal modo la scienza della vita, ma non aveva ancora la scienza politica: essa si trovava presso Zeus; né più era concesso a Prometeo di andare nell'acropoli, ov'è la dimora di Zeus (e davvero temibili erano, per di più, le guardie di Zeus); riesce, invece, a penetrare di nascosto nella comune dimora di Atena e di Efesto dove essi lavoravano insieme, e, rubata l'arte del fuoco di Efesto e l'altra propria di Atena, le dona all'uomo, che con quelle si procurò le agiatezze della vita.
Solo che, come si narra, più tardi Prometeo dovette, a causa di Epimeteo, pagare la pena del furto.

Come dunque l'uomo fu partecipe di sorte divina, innanzi tutto per la sua parentela con la divinità, unico tra gli esseri viventi; poi, usando l'arte, articolò ben presto la voce in parole e inventò case, vesti, calzari, giacigli e il nutrimento che ci dà la terra.
Così provveduti, da principio gli uomini vivevano sparsi, ché non v'erano città.
E perciò erano distrutti dalle fiere, perché in tutto e per tutto erano più deboli di quelle, e la loro perizia pratica, pur essendo di adeguato aiuto a procurare il nutrimento, era assolutamente insufficiente nella lotta contro le fiere: non possedevano ancora l'arte politica, di cui quella bellica è parte.
Cercarono, dunque, di radunarsi e di salvarsi fondando città: ma ogni qualvolta si radunavano,si recavano offesa tra di loro, proprio perché mancanti dell'arte politica, onde nuovamente si disperdevano e morivano.

Allora Zeus, temendo per la nostra specie, minacciata di andar tutta distrutta, inviò Ermes perché portasse agli uomini il pudore e la giustizia affinché servissero da ordinamento della città e da vincoli costituenti unità di amicizia.
Chiede Ermes a Zeus in qual modo debba dare agli uomini il pudore e la giustizia: Debbo distribuire giustizia e pudore come sono state distribuire le arti? Le arti furono distribuite così: uno solo che possegga l'arte medica basta per molti profani e lo stesso vale per le altre professioni.
Anche giustizia e pudore debbo istituirli negli uomini nel medesimo modo, o debbo distribuirli a tutti?.
A tutti, rispose Zeus, e che tutti ne abbiano parte: le città non potrebbero esistere se solo pochi possedessero pudore e giustizia, come avviene per le altre arti.
Istituisci, dunque, a nome mio una legge per la quale sia messo a morte come peste della città chi non sappia avere in sé pudore e giustizia."
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In questo mito, pudore e giustizia devono coesistere in ogni essere umano, pena l'impossibilità di costruire una polis. Il pudore e la giustizia sono virtù democratiche in quanto devono essere donate ad ogni uomo, pena la incapacità umana di sopravvivere alla "propria" animalità.
Il pudore all'interno della società è: "disposizione al rispetto reciproco fra gli uomini, prepara e predispone l'opera della giustizia e l'obbedienza alle leggi".
Possiamo individuare un pudore corporeo laddove si indica il corpo, la nudità come manifestazione del mondo animale, mondo al quale l'uomo appartiene ma che procura dolore e sgomento, angoscia per la coscienza umana che si identifica con lo spirito, crea lacerazione, conflitto, imperfezione.
Vi è inoltre un pudore etico, politico che ci permette di creare da un lato una compartecipazione politica e dall'altro ci permette di creare quel mondo interiore e soggettivo che appartiene all'anima e alla sua infinita profondità. Il pudore ci permette di conservare un "segreto" (mettere da parte).

I rapporti originali e archetipici: individuo - collettività, io - sé, norma - trasgressione, sono sempre stati visti dall'umanità come originari di una colpa. Nei miti, nelle religioni, nelle tradizioni culturali universali, la colpa è sempre stata accompagnata dalla spaccatura di una unità originaria. E quando si parla di spaccatura originaria si parla anche della nascita della coscienza, dell'individuo, insomma della vita stessa (come del resto confermano i moderni fisici). Dalla spaccatura nasce il senso di colpa e con esso nasce anche il pudore.
La spaccatura porta nell'esistenza umana anche il nascondimento, la paura di oltrepassare certi limiti, e queste alterne forze sono comprese dal senso del pudore che, come simbolo di spartiacque, diventa sia un guardiano delle norme che contenitore attraverso cui il singolo si distacca dal sociale, dalla norma, dal conforme.

Il pudore ha sempre a che vedere con l'individualità. Esso accompagna il mistero del "diverso" , filosoficamente inteso, rispetto al conosciuto, ogni misteriosa differenziazione e ogni affascinante alterità. Il pudore in questa chiave diventa il custode del miracolo del "nuovo".

Vi è anche un pudore causato dalla "trasgressione" a norme e a usi conformi alla morale comune, il pudore per la propria diversità; "Così, ciò che inizialmente aveva assunto il significato di un tratto differenziale e unificante dell'umanità rispetto alle sue presunte negazioni ferine, diviene, a un livello superiore di complessità, il modo più indifferenziato con cui le società umane producono ordine e conformità al loro interno ed esclusione nei confronti dei gruppi e degli individui (donne, omosessuali, etnie minoritarie, disabili etc.) che, per varie ragioni, non vogliono o non possono adeguarsi all'ortodossia sovrana delle norme": (A. Tagliapietra).
Il pudore segna il limite tra privato e collettivo, tra norma e trasgressione, tra bestiale e spirituale, e rimanda subito al senso della nudità, nudità non solo fisica ma esistenziale.

Essere scoperti nella propria umanità (il mito biblico di Adamo ed Eva) è un vissuto violento che ci porta via da un senso arcaico di protezione.
Il pudore sorge nell'uomo quando la vita strappa il velo (il velo è una tipica iconografia del pudore) alle varie maschere che l'umanità indossa per nascondersi, per sottrarsi, e sottraendosi, creare uno spazio tutto suo, appunto individuale e privato, che dà origine alla psiche; il pudore come la psiche sono simboli non ancora spiritualizzati della coscienza umana, che vive ancora nell'ambiguità del passaggio da animale a spirituale.

A fronte di tutto questo potremmo porre la mancanza di pudore del nostro tempo, sia come un modello inconscio al quale forse le nuove generazioni si appellano, che come il sintomo di una sorta di blocco in cui pare essersi impigliata l'umanità, lungo il processo di trasformazione che dal livello psichico - coscienziale condurrebbe a quello più propriamente spirituale.
Tale blocco pare manifestarsi proprio nella spudoratezza inconscia. La mancanza di pudore non si erge allora a segnale di un avvenuto compimento: l'avvenuto passaggio per maturità della coscienza umana dall'impulso immediato (animale) alla riflessione (spirituale), ma a sintomo proprio del contrario: del mancato passaggio, sicchè tale mancanza non può che alimentare ulteriore cecità, con sovrapproduzione di oggettività psichica e sovrabbondanza di follia al posto dell'apertura spirituale e del senso.

(*) Andrea Tagliapietra Bibliografia:
"La forza del pudore" A. Tagliapietra "Protagora" Platone Wikipedia


Cristina Allegretti


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