Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Marzo 1996 Pag. 6° Agnese Galotti

Agnese Galotti

 MITI E LEGGENDE 

L'UNICORNO

"Universalmente si ammette che l’unicorno sia un essere soprannaturale e di buon augurio. Persino i bambini e le donne del popolo sanno che l’unicorno è presagio favorevole. Ma quest’animale non fa parte degli animali domestici, non sempre è facile incontrarlo, non si presta ad esser classificato. Non è come il cavallo o il toro, il lupo o il cervo. Stando così le cose, potremmo trovarci di fronte all’unicorno, e non sapremmo con sicurezza se è lui. "

I vari Bestiari in ogni parte del mondo parlano dell’unicorno - altrimenti detto liocorno - e ne danno un’immagine fiabesca, talvolta mostruosa.
Plinio lo descrive con corpo di cavallo, testa di cervo, zampe di elefante e coda di cinghiale.
Ctesia ne parla come di un asino bianco, velocissimo, con testa purpurea, occhi azzurri e corno acuminato di varia colorazione: bianco alla base, rosso in punta e in mezzo nero, con chiaro riferimento alla trasformazione alchemica della materia nelle sue fasi di albedo nigredo e rubedo.
In Cina rappresenta virtù regali: la comparsa dell’unicorno segnala la presenza di un saggio; mentre la sua natura androgina è resa linguisticamente dal fatto che, mentre il maschio è chiamato K’i, e la femmina Lin, con la denominazione composta K’i-Lin si indica il genere come tale.
Tutti ne riconoscono la velocità, la crudeltà nonchè la natura selvaggia.
Generalmente è ritratto come cavallo di grosse dimensioni, dotato di un unico lungo corno posto in mezzo alla fronte ritto verso il cielo.
Numerose sono le superstizioni sul suo conto: il suo corno era considerato oggetto oltremodo pregiato e dotato di poteri sovrannaturali, motivo per cui l’unicorno fu spesso cacciato dall’uomo, avido di ogni tipo di potere.
Pare che tale corno avesse la proprietà di preservare dai veleni, per cui se ne costruivano vasi per bere, oppure se ne immergeva un frammento nella brocca in cui era contenuta la bevanda prima di consumarla.
I grandi del mondo pare si disputassero queste corna, vendute a peso d’oro.
Su un piano più profondo - o più elevato, che è lo stesso - rispetto a quello superstizioso, il corno è simbolo di sovranità, forza, fecondità: "freccia spirituale, raggio solare, spada di Dio".
Le corna rivolte verso l’alto, simbolicamente rimandano al mondo dello spirito, basti pensare alle corna che Michelangelo appose sul capo del suo Mosè. E’ inoltre un simbolo bipolare, unificatore dell’aspetto maschile, penetrante, fallico e di quello femminile, creativo: se solo viene capovolto mostra la sua forma cava, a calice, che contiene e produce le ricchezze (il simbolo della cornucopia).
Allora anche l’unicorno, suo portatore per eccellenza, accanto alla natura androgina di cui si è detto, porta in sè una potente spinta ideale e spirituale: nell’alchimia è associato al Mercurio, elemento di sostanziale importanza quale "aurum non vulgi", spirito di vita.
Jung nota come l’unicorno rappresenti " una coniunctio oppositorum che lo rende particolarmente idoneo ad esprimere il monstrum hermaphroditum dell’alchimia." Tutti gli riconoscono il misterioso potere di scoprire l’impurità, di vedere anche la minima minaccia di alterazione nel fulgore del diamante: gli è consu-stanziale ogni materia nella sua integrità.
Il mito del liocorno è quello del fascino che la purezza incorrotta, propria di ciò che è ideale o assolutamente spirituale, continua ad esercitare sui cuori corrotti o semplicemente umani.
Tuttavia anch’esso ha un punto debole, una fragilità: nel Medioevo il motivo dell’unicorno si arricchisce del simbolo della vergine, come unica esca per la sua cattura; ella sola lo poteva avvicinare e di lei spesso si servirono gli avidi cacciatori.
In molte famose rappresentazioni, come "La dama e l’unicorno", nel museo di Cluny, lo si vede sdraiato accanto ad una fanciulla, con la testa appoggiata sul grembo di lei.
Nel contesto dell’amor cortese la coppia vergine-liocorno viene a rappresentare il violento conflitto interiore tra due valori: la salvaguardia della verginità come massima purezza, da un lato, e la fecondità - corno come simbolo fallico - dall’altra. Il liocorno fu spesso indicato, in tale contesto, quale simbolo della sublimazione dell’amore, della rinuncia all’amore per salvarlo da un deperimento ineluttabile.
"Muoia l’amore perchè viva l’amore": sembra essere la sintesi di un conflitto in cui si contrappongono la purezza ideale con l’impurità necessaria al decorso stesso della vita, affinchè l’esperienza sia vissuta.
Nella simbologia cristiana l’associazione con la Vergine, fa sì che l’unicorno venga assimilato al Cristo, come appare in numerosi testi gnostici, dove diventa il simbolo della fecondazione attraverso lo Spirito Santo.
La sua cattura è così descritta: "Si espone sul campo una vergine, e l’animale le si avvicina; e mentre esso si posa nel suo grembo, viene catturato." Qui il contatto con la vergine e l'abbandonarsi dell'unicorno nel grembo di lei, sta ad indicare il prender corpo del divino in forma umana, il che lo rende più reale e insieme più corruttibile.
L’ideale che l’unicorno rappresenta finisce allora per subire mille morti, proprio in quanto assimilato al Cristo, che l’umanità ingrata continua a crocifiggere.
Ma proprio come simbolo del Cristo l’unicorno incarna una profonda trasformazione che l’amore per l’umanità tutta ha operato in Dio stesso: in un testo esoterico troviamo così descritto il passaggio dal Dio dell’Antico Testamento al Dio d’amore di cui è testimone il Cristo: "Certo è che Dio, l’oltremodo terribile, si è palesato al mondo placato e del tutto ammansito, dopo essere entrato nel corpo della Beatissima Vergine." Se da un lato l’unicorno rappresenta l’avvicinarsi del divino all’umano per opera dell’amore, dall’altro sembra essere esortazione al movimento contrario, là dove all’uomo è chiesto di alimentarne l’esistenza attraverso l’amore, perchè la proprietà salvatrice dell’unicorno può agire solo se l’uomo lo desidera veramente: egli muore d’amore perchè viva l’amore.
Ma il modo migliore per parlare di un essere sovrannaturale ed intangibile quale è il liocorno, senza lederne la potenza evocativa che risuona dentro l'anima di ciascuno, è certamente quello di parlarne attraverso il linguaggio poetico.
Lasciamo dunque la parola a R. M. Rilke:

"E’ questo l’animale favoloso,
che non esiste. Non veduto mai,
ne amaron le movenze, il collo, il passo:
fino la luce dello sguardo calmo.
Pure "non era". Ma perchè lo amarono,
divenne. Intatto. Gli lasciavan sempre
più spazio. E in quello spazio chiaro, etereo:
serbato a lui - levò, leggiero, il capo.
Neppure fu. Non lo nutrir d’avena.
Ma del suo "poter essere", soltanto.
E questo infuse in lui tale vigore,
che dalla fronte, il niveo corno spinse.
Candido venne a una fanciulla incontro.
E fu - per lei - nel suo specchio d’argento."


Agnese Galotti


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