Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Settembre 1997 | Pag. 8° | Laura Ottonello |
METODO LA SOFFERENZA DELL'ANALISTA
L'analista non può permettersi di eludere il dolore dell'altro; e così, ogni volta, lo fa suo per trasformare nel rapporto, attraverso i vissuti che sperimenta, una sofferenza apparentemente sterile ed insensata in dolore.
Un luogo comune, un pregiudizio forse di molte persone che, rivolgendosi agli "addetti ai lavori" portano, è quello inerente all’analista.
Come fosse una specie di ombrello protettivo è vissuto spesso non come persona umana ma come figura salvifica disancorata dalla realtà, aproblematica, aconflittuale, stabilmente equilibrata. Fantasia, questa, che (nella "nevrotica" separazione dei ruoli) favorisce il legame in quanto garantisce una barriera protettiva contro le potenti cariche negative che, nel rapporto, potranno emergere.
Nel rapporto, di qualsiasi natura, c’è una sorta di ineliminabilità della sofferenza: come nella vita, nel rapporto è previsto il lutto, la separazione, la perdita, la morte e la privazione.
L’analista si trova quotidianamente a dover affrontare l’angoscia o il perdurare di situazioni pesanti che non lasciano intravedere vie d’uscita e non ha a disposizione modelli confezionati di risposta. Ma l’esperienza della sofferenza "conduce ad una condizione esistenziale più completa ed umana" (C.G.Jung) se solo la si accoglie...
L’analista non può permettersi di eludere il dolore dell’altro; e così, ogni volta, lo fa suo per trasformare nel rapporto attraverso i vissuti che sperimenta una sofferenza apparentemente sterile e insensata in dolore.
Il dolore, anche quello fisico, è sempre psichico e si distingue dalla sofferenza anonima perchè c’è un vissuto soggettivo di malessere che l’individuo sperimenta e riconosce.
L’analista, aiutando a dare senso e dignità alla sofferenza dell’altro lo aiuta a trasformare un vissuto immediato che lo schiaccia in nome, in conoscenza: un dolore può cominciare a definirsi tale perchè è già più vicino alla consapevolezza, trova espressione di sè attraverso la parola, c’è un soggetto che può dire: "io sto male! " Entrare in gioco con l’altro senza colludere col rischio di "infezioni" psichiche che paralizzano l’evoluzione coscienziale, è indispensabile per poter trasformare il rapporto. La conoscenza, infatti, non passa attraverso informazioni oggettive ma stati affettivi che l’analizzando suscita in noi: le risonanze interiori sono lo strumento analitico.
Lavorare con i sentimenti è uno dei compiti più difficili: non è possibile attenersi alle categorie di giudizio (tipo: vero/falso) ma si ha a che fare con una realtà ambigua e ambivalente, piena di sfumature. L’analista deve imparare a sostenere frustrazione, disorientamento, smembramento poichè sempre si ritrova ad essere coinvolto.
Le occasioni di sofferenza sono tante, e non può permettersi di restare ancorato al semplice dato di realtà, nè barricarsi dietro una corazza difensiva che lo ripari dalle emozioni spiacevoli. Così, talvolta, si trova di fronte alla consapevolezza dei propri limiti, della propria impotenza e della propria solitudine.
Fare i conti con le resistenze e l’ambivalenza dell’analizzando e con la sottile azione di sabotaggio operata dal contesto relazionale in cui è calato, mette a dura prova il suo operare.
Affidamento e contenimento diventano indispensabili per affrontare quei momenti difficili in cui l’altro, spinto da forti emozioni inconsce e per vie diverse, tenta di trasgredire l’accordo iniziale.
Una delle esperienze più dolorose è quella che nasce quando ci troviamo di fronte al perdurante disagio dell’altro inchiodato alla sua sofferenza e incapace di uscirne, come se l’intollerabilità e l’apparente insensatezza di quella condizione avesse qualcosa da dirci.
E’ un dolore necessario, che dobbiamo reggere e contenere per sviscerane la sacralità.
Non solo la sofferenza funge da carburante nel processo ma spesso, quando si mostra in modo estremo, chiede di essere redenta poichè "la redenzione non cambia una condizione: la benedice così com’è" (J.Hillman).
Talvolta l’inguaribilità è parte integrante della struttura psicologica della persona sofferente. "L’archetipo dell’invalido" (Guggenbuhl-Craig) nel suo aspetto positivo favorisce l’umiltà e l’accettazione del limite, è spinta alla spiritualizzazione, alla pazienza, alla tolleranza e all’incontro con gli altri.
Nel suo aspetto negativo è come se l’anima scegliesse la via dell’incurabilità per un segreto processo di illuminazione.
D’altra parte, l’adattamento non sempre coincide con la sanità...
Il problema nasce sempre con l’assurdità della sofferenza e il fine teleologico celato dietro di essa ai fini del processo individuativo.
Per questo l’analista non può farsi sordo: nell’ascolto analitico, accanto al senso condiviso, vi è una forte risonanza emotiva che apre la via alla ricerca. Solo scrutando quel lacerante dolore e dialogando con esso è possibile aprire un varco nell’insensatezza: intuizioni, percezioni e nuove consapevolezze che si esprimono anche attraverso la corporeità e la "contaminazione" dei contenuti inconsci mostrano la doppia faccia della sofferenza: l’inevitabilità e la funzionalità.
Ciò che è veramente trasformativo è la libertà dell’analista, tutt’uno con l’amore che sostanzia il rapporto.
Per questo il vissuto frustrante e doloroso è quello di sentirsi negato, imbavagliato, deprivato; è impedimento, limitazione; è il mancato concepimento della realizzazione di sè laddove non puoi fare altro che assistere impotente alla mancata realizzazione dell’altro.
Sofferenza negata, trattenuta, arginata è poi quella che l’analizzando spesso agisce nella ripetizione noiosa, nella piattezza e nella monotonia: una maschera che tende a coprire il rifiuto di un nucleo più profondo.
Barriera che l’analista deve infrangere per non soccombere a quel vissuto mortifero che impedisce di approfondire il rapporto e quindi la liberazione "anche" dell’altro.
Sofferenza camuffata da etichette, sintomi, concetti, forse per prendere tempo e ridurne la portata, che l’analista, vincendo la paura, deve poter "sfondare" per restituire senso, vita e libertà a entrambi.
Come ben scrive A. Carotenuto: "Nessun incontro è veramente casuale, ma ogni rapporto tra due esseri umani risponde a una misteriosa logica, a un profondo destino di cui senso e contenuto a volte si chiariscono dopo molto tempo, quando la turbolenza emotiva che l’ha caratterizzato è ormai cessata".
Laura Ottonello
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