Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Settembre 2003 Pag. 11° Tullio Tommasi


Tullio Tommasi

 RICERCHE 

COMPETIZIONE E COOPERAZIONE

A noi umani, risultato pł alto dell'evoluzione della natura, spetta il compito di un nuovo salto, non pił determinato da condizioni esterne ma da autoriflessione

Nella storia del pensiero filosofico, e non solo, spesso le varie teorie partono dal presupposto di una natura intrinsecamente buona o cattiva dell'uomo.
Prendendo, abbastanza a caso, due esempi, potremmo considerare Rousseau e Hobbes come degni pensatori che assumono l' essere umano positivo e negativo, rispettivamente.
Accade che tale dilemma entri nelle conversazioni di tutti i giorni e ci si interroghi sulla vera natura di noi stessi, concludendo in genere con una assoluzione o trovando esempi peggiori di noi.
In effetti, vari casi, sia individuali che sociali, di profonda crudeltà o di alto altruismo farebbero pensare che le persone appartengano a una delle due categorie, ma poi i confini non sono così chiari e noi stessi ci ritroviamo ad agire emozioni anche molto contrastanti.
Un aiuto può venire dagli studi etologici, da teorie evolutive, da ricerche neurobiologiche e da varie considerazioni svolte, per esempio, da G. Liotti in "La natura interpersonale della coscienza", (Carocci 1993).
Partiamo dal modello del cervello diviso in tre stadi:
quello rettiliano, proprio dei rettili e delle specie più primitive, che consiste nel tronco dell'encefalo e nei gangli della base; quello limbico, proprio degli uccelli e dei mammiferi, che comprende, oltre al primo, tutto il sistema limbico (fondamentale per le emozioni); e la neocorteccia, propria dell'uomo e, in parte, dei primati in genere (per esempio lo scimpanzé).
Al primo stadio sono associate le funzioni fondamentali di sopravvivenza.
Gli animali a questo livello non mostrano segni di relazionalità, se non sotto forma di branco rigidamente organizzato. I mammiferi e gli uccelli invece mettono in atto comportamenti sociali molto caratteristici. La ricerca ne ha individuato cinque, chiamandoli sistemi motivazionali interpersonali. In breve, essi sono:
attaccamento (il piccolo cerca un adulto), accudimento (un adulto offre protezione al piccolo), accoppiamento, competizione e cooperazione. Tutti questi sistemi sono innati.
Gli esempi etologici sono molti e affascinanti. Una caratteristica appare evidente: più ci innalziamo nella scala evolutiva, più i sistemi sono sofisticati.
Un esempio per tutti: topi e ratti hanno una differenza sostanziale nel sistema di competizione; nei primi, dopo la lotta, il vincitore acquisisce il bottino (femmina, cibo, territorio) mentre lo sconfitto fugge; nei secondi, lo sconfitto diviene una specie di suddito e si crea una dinamica relazionale che permette un inizio di sistema sociale. Dunque il sistema più evoluto permette la creazione di un sistema pseudo sociale in funzione di un rafforzamento della specie.
Siamo ancora in un ambito di competizione, in cui esistono vincitori e vinti, e solo a un livello più alto, dove da un punto di vista biologico esistono delle connessioni con la neocorteccia, si assiste a cooperazione tra simili.
Solo i primati, e naturalmente l'uomo, sembrano capaci di mettersi d'accordo, su uno stesso piano, per arrivare a un fine comune.
In noi umani permangono tutti i livelli del cervello, senza che nessuno in particolare prevalga in modo stabile: competizione e cooperazione coesistono, bontà e cattiveria fanno parte di noi. E' anche vero che filogeneticamente la cooperazione è il sistema più evoluto, ed è facile riconoscerne i vantaggi per la specie. Non si tratta di semplice divisione dei compiti, ma di riconoscere un altro pari a noi per unire le forze: si crea il gruppo.
Da un punto di vista evolutivo, sembra che la convivenza in gruppo abbia poi permesso il nascere della coscienza.
Dunque, contrariamente a quanto si crede, non è una evoluzione individuale che porta alla relazione, ma viceversa.
E' qui impossibile riassumere le varie ipotesi secondo le quali la socialità ha permesso l'affiorare della coscienza; accenniamo solo al ruolo fondamentale delle emozioni, trasmissibili per via delle espressioni facciali, che sarebbero alla base della comunicazione.
In questi ultimi anni anche nella teoria psicoanalitica si fa sempre più evidente l'idea che la coscienza sia un processo interpsichico, quindi essenzialmente relazionale, anziché intrapsichico, ovvero individuale.
E' curioso, e rassicurante, vedere che varie scuole psicologiche, anche in forte contrasto iniziale tra loro, magari attraverso percorsi diversi arrivano a conclusioni simili: l'importanza fondamentale della relazione analista-analizzando nei cambiamenti terapeutici.
A questo punto, ricapitolando la storia evolutiva qui delineata, possiamo dire che l'uomo con la coscienza e l'autocoscienza è il risultato di una complessità via via maggiore.
E la nostra individualità, a cui tanto teniamo, è il frutto dell'interazione con gli altri, sia da un punto di vista filogenetico che ontogenetico.
Tenendo presente che il sistema di cooperazione è il più evoluto livello di interazione a cui la natura è pervenuta, ci si può chiedere quale sarà la tappa successiva. E' la prima volta che una tal domanda può essere posta, proprio in virtù della consapevolezza.
Finora i processi di cambiamento sono accaduti provocati da fattori esterni, con risultati mai prevedibili. Ora nuovi concetti di autocoscienza, responsabilità, reciprocità e via dicendo cambiano il modo di vedere le possibilità future.
A noi umani, risultato più alto dell'evoluzione della natura, spetta il compito di un nuovo salto, non più determinato da condizioni esterne ma da autoriflessione.
Il progresso ha preso la strada affascinante, veloce e pericolosa della tecnologia. Pericolosa perché l'evoluzione della mente è rimasta indietro e spesso la parte rettiliana ha ancora molto peso.
L'individualità dominante di questi tempi ci fa dimenticare le nostre origini relazionali e comunitarie, nell'illusione di una autonomia che è solo fittizia. Siamo dunque in una fase in cui il sistema competitivo ha vita facile ma, nello stesso tempo, appare sempre più evidente l'urgenza di rapporti di altro tipo.
Forse la stanchezza dei conflitti, individuali e sociali, in cui abitualmente ci troviamo immersi potrà essere il motivo per percorrere altre strade, già scritte nella nostra storia e nei nostri geni ma ancora poco esplorate.
Quando ciascuno di noi si sarà stancato e non avrà più voce per gridare le proprie ragioni, allora, stremato, potrà riconoscere se stesso nell'altro.


Tullio Tommasi


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