Home Anno 14° N° 51 Pag. 3° Marzo 2005 Ada Cortese


Ada Cortese
 METODO 

SOLITUDINE TRA PAZZIA ED EQUILIBRIO

Riflessioni trasversali tra testimonianza personale e metodo

Ci sono aspetti concomitanti e diversi (le cosiddette parti della psiche)
che, nella nostra totale ignoranza della loro esistenza, contribuiscono a produrre quello stato di relativa serenità o tranquillità della nostra mente.
Spesso è facile riconoscere ciascuno di quelli più importanti perché ognuno di essi va a soddisfare un bisogno vitale per il soma, per la psiche. Mangiare, dormire, socializzare, imparare, viaggiare, ecc.
Recentemente ho fatto una particolare esperienza, non tanto originale in sé quanto per la lezione che vi ho letto:
mi è capitato di scoprire ciò che mi mancava, ciò di cui avevo bisogno, solo nel momento in cui tale bisogno ha avuto modo di venire soddisfatto e, tra l'altro, in maniera del tutto casuale (diversamente avrei avuto gli elementi per percepirlo!).
Ebbene, è accaduto che _ per questioni di vita pratica, di contingenze familiari e personali _ mi sia accaduto di non aver avuto modo di restare sola per almeno 24 ore da almeno due anni a questa parte.
Non mi sono accorta di niente fino a che non ho ritrovato un certo gusto e una certa sensazione di benessere che mi mancava dall'ultima volta che ho avuto modo di essere fisicamente sola in casa mia.
La cosa che mi ha stupito e lasciata sgomenta è che io ho riconosciuto un fondamentale bisogno "per contrasto": solo perché è capitato di potergli dare appagamento casuale.
Lo sgomento credo sia dovuto alla netta percezione di come la vita _ se lo richiede affinché altri bisogni sovrapersonali vengano prioritariamente considerati _ sappia produrci una rimozione da cui nessuna prassi psicoanalitica sa vaccinarci.
Mi sono stupita di quanto mi sia mancata una sia pur limitata porzione di solitudine fisica, significativa nei miei parametri se riesce a raggiungere l'intera giornata di 24 ore.
Non considero le frazioni, quelle ci sono ovviamente state ma credo che - sia per questioni di bioritmo sia per questioni di psicoritmo, entrambi misurabili entro una unità di tempo intero _ il tempo minimo intero coincida per noi simbolicamente e fisiologicamente con le 24 ore.
Ebbene: ho preso atto, vivendomi 24 ore di tranquilla solitudine, di quanto tempo sia passato dall'ultima volta che ciò accadde. E di quanto mi sia mancata senza che io me lo sapessi più dire!
Ho avuto modo di riflettere che certe aggressività, certe frustrazioni, malesseri e altri sentimenti negativi, potevano essere fatti risalire anche a questa particolare mancanza di esperienza vitale.
L'associazione che mi è venuta immediatamente è stata col valore del sogno e del sognare.
Esperimenti scientifici hanno dimostrato già da tempo che nessun essere umano può restare psichicamente integro per troppo tempo se gli viene impedito di sognare sufficientemente a lungo. Sognare è attività psicofisica necessaria alla salute generale.
Ebbene, con la stessa certezza "scientifica", ho avvertito che stare soli in casa propria - nella normalità quotidiana, dunque, e non in altre cornici _ è di assoluta importanza ai fini della preservazione del nostro benessere generale.
Purtroppo l'organizzazione delle nostre abitazioni e delle nostre vite non sempre permette o prevede questa esperienza. Importante almeno lo spazio di una stanza personale. Spesso manca anche questo. Non c'è da stupirsi che la vecchia aggressività animale da istanza territoriale riaffiori.
Forse nel malessere generale e nella generale criminalità possono nascondersi anche precoci e precedenti esperienze di mancata solitudine fisica.
Ad essa spesso si accompagna la percezione della negativa solitudine interiore.
La solitudine interiore non sempre è negativa, anzi anche essa è esperienza assolutamente necessaria lungo il percorso evolutivo della psiche perché per suo tramite si impara ad ascoltare il proprio dialogo interiore e ci si accorge dunque della esistenza della propria vita interiore.
Questa esperienza ci insegna a percepire noi stessi come un intero, una identità ben delimitata: ognuno si percepisce uno, solo, intero, individuato.
La solitudine diventa insopportabile quando il dialogo, interiore ed esteriore a un tempo, cessa. Che sia la percezione della solitudine di rapporti o che sia la percezione di solitudine e assenza di vita interiore, il risultato è comunque l'angoscia insostenibile perché _ cadendo la percezione della relazione _ cade tutta la rete che sostiene e sostanzia il senso soggettivo del nostro equilibrio, cade il senso stesso della nostra vita, i nostri parametri, insomma cade tutto.
Ci si accorge in quei frangenti come tale equilibrio sia delicatissimo e sia simile davvero ad una rete che consta di tanti nodi corrispondenti alle relazioni fondamentali della nostra vita, siano esse con personificazioni di idee o di soggetti che davvero vivono e che conosciamo. Ebbene, spesso basta che una delle relazioni - fondanti la percezione che noi abbiamo della nostra identità _ s'incrini, si perda, per vivere l'effetto disastroso che si ripercuote su tutti gli altri nodi/relazioni.
Anche perché questi punti nodali si lasciano immaginare come ordinabili su scala gerarchica: basta che vi sia una relazione prioritaria, simbolica o reale, funzionante e soddisfacente per far sì che anche tutte le altre, magari meno efficienti quando non piene di "magagne", vengano accettate senza particolari esigenze migliorative.
Ma, ovviamente, basta che la relazione principale, la più importante per noi, quella che sta in cima alla classifica, mostri buchi, perda forza, credibilità, insomma venga meno, ed ecco allora che anche tutte le altre, diventano intollerabili e tutto si colora di nero.
Da questo quadro risulterebbe che l'equilibrio non è coesistenza tra elementi psichici scelti e di prima qualità. In molte cose, insomma sappiamo di "accontentarci" e non c'è nulla di riprovevole ed immorale in questo, solo onestà di dire che anche nel nostro mondo interiore vige il caos più che l'ordine ma paradossalmente in questo caos, basta che un elemento sia riconosciuto, voluto e preteso al meglio, che tutti gli altri elementi - a seguire e subordinatamente - sapranno dare il meglio di sé anche se essi stessi, nella loro singolarità, non sarebbero il meglio per noi.
Al solito la bellezza è in un insieme di microbrutture più che di elementi ideali puramente formali, astratti, dunque inesistenti.
Sentire quanto sia fragile il senso del nostro equilibrio e quanto poco ci voglia per condurci sull'orlo dell'abisso e della nientificazione del nostro essere ci fa solo bene perché dà verità alle parole ed ai gesti del nostro pensare e del nostro vivere che tale abisso hanno attraversato.


Ada Cortese


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