Home Anno 14° N° 51 Pag. 11° Marzo 2005 Carla Piccini


Carla Piccini
 STREAM OF CONSCIOUSNESS 

SOLITUDINE E COPPIA

"Amami essere meraviglioso e, amandomi, restituiscimi l'immagine di Me che io vedo in Te e dammi il soffio della mia vita"

Usciamo dalla casa paterna, dove avremmo dovuto essere ben nutriti di amore, generalmente deprivati. Chi molto, chi meno, chi tantissimo. Ogni bambino ha bisogno di un particolare cibo, quasi quanto delle cure materiali, cibo fatto di amore e conferme su cui cresce quel sentimento base di fiducia che permette di sentirsi esistere in questo mondo. Ma accade che, spesso o a volte, manchi, per questo sentimento - base, il nutrimento fondamentale che lo avrebbe dovuto alimentare.
Oltre a iniziare a mettere i germi della rabbia e della contrapposizione, che si manifesteranno probabilmente nella adolescenza, col sano bisogno di conoscersi diverso dai genitori, l'essere umano soffre pure di una grande solitudine in amore: è come se col suo cuore puro e innocente, vivesse il naturale bisogno di amare le persone più vicine a lui, i genitori, con grande trasporto, ma non potesse condividerlo con loro, o non pienamente, poiché essi, travolti da svariati problemi, non sono di solito in grado di colmare e riempire gradualmente la necessità del nutrimento primario affettivo.
E' come se egli sperimentasse presto questo primo modo di amare, totalmente rivolto all'altro che per contro non si cura, o non sempre e adeguatamente, di lui. E' un amore che parte da un soggetto, che ne è privo dentro di sè, verso un altro soggetto e genera una sensazione di perdita di amore, di perdita di sè, e appunto di solitudine.
Nell'amore fra adulti il terreno dove è più possibile rivivere questa esperienza e dove si riapre questa ferita è il rapporto sentimentale, passionale. O dove è più acuta.
Se infatti l'adulto non è riuscito a compensare la sua originaria, più o meno grave, deprivazione, o neppure ne è consapevole [grazie a un percorso di conoscenza interiore], non può sentire prima di tutto l'amore che circola dentro di sè, amore-energia-vita, che proviene dal cosmo e lo attraversa; non può sentire che comunque Dio lo ama e che quindi lui stesso può amarsi e riconoscersi degno di stare al mondo e di avere il proprio spazio; si innesca invece il meccanismo di percezione di vuoto dentro e di amore che fuoriesce da sè per convergere del tutto sull'altro, nella dimenticanza di sè e amando nell'amato tutto ciò che della propria costellazione interiore, che ignora, proietta sull'altro.
[innamoramento]. Egli cerca l'amore per sè nell'amore per l'altro [passione] ignorando che solo dalla pienezza può sgorgare un amore libero.
Altrimenti resta la contabilità: se l'altro non ricambia in modo proporzionato si genera appunto solitudine e senso di abbandono; si resta totalmente dipendenti dalla disponibilità d'amore e dalla modalità con cui l'altro ama.
L'Amore deve invece - per sua definizione - essere libero, e in tale necessità sono riconoscibili come veri bisogni esiziali dell'adulto solo quello di amare [e non di essere amato] e quello di essere libero.
Quindi, da un punto di vista strettamente esistenziale, nessun rapporto per l'adulto è fondamentale ed esclusivo, perché, se esso è già amato dal Dio che è in tutti noi, non gli resta altro che redistribuire tutta questa ricchezza.
Succede spesso che l'amore per l'amato possa svelarsi - per la sua natura fortemente emotiva, e quindi corporea - la diretta conseguenza dell'amore per i genitori o per il genitore prescelto, dunque una forma di "rimedio" alle carenze di quel rapporto, nel tentativo di prendere dall'altro o a lui offrendole, tutte quelle gratificazioni che ci sono mancate allora: "Amami essere meraviglioso e amandomi restituiscimi l'immagine di Me che io vedo in Te e dammi il soffio della mia VITA".
La perdita di sè si verifica perché manca nel bambino la "riserva aurea", il patrimonio da cui attingere e attraverso cui passare prima di andare verso l'altro; nell'adulto questo passaggio è stato saltato, poiché il "gruzzolo" è stato troppo magro, la somiglianza con l'amore primario è grande, la speranza di essere risarciti di ciò di cui siamo stati privati è altrettanto grande.
Ma se si impara ad amare in modo più disinteressato, si vorrà il reale bene dell'altro, vedendolo possibilmente per quello che è, si potrà preservare la propria interezza e si saprà condividere tutto quello che è possibile condividere, che potrebbe non essere il "tutto".
Ciò non toglie che ci sia la passione, a cui ci si concede, sapendoci ormai anche giocare e districandovisi con eleganza. Non toglie che ci siano i bisogni, che possono essere vissuti come strumenti e possibilità di dialogo e riconoscimento reciproco.
In tanti altri tipi di rapporti vedo che è più facile provare la gratuità dell'amore, il piacere di amare fine a se stesso, come nell'amicizia o altri ancora, là dove l'atto stesso di amare [per esempio per i figli] paga già da sè ed è di grande profondità.
In definitiva il desiderio di accoppiarsi stabilmente non risulta corrispondere a una esigenza fondamentale, pensando anche a quanto questo archetipo [della coppia] sia appesantito da retaggi culturali impressi ormai nel nostro DNA che hanno a che fare col femminile e col maschile… Nella realtà ,quando la coppia c'è, è possibile viverla contemporaneamente al percorso di individuazione e parallelamente alla inesauribile ricerca di liberazione di sé. Processo questo che, come si sa, è interminabile e non può che essere compiuto sulla propria pelle, vivendo nella carne il dolore fecondante delle varie" delusioni".
Dolore, nostro grande strumento di conoscenza, insostituibile e sacro sentire, se è espresso, al punto che mi è possibile amarne la bellezza. Momento essenziale della vita, in cui [ma non solo?] si può toccare con le dita il confine fra la morte e la vita, e quindi restituire a quest'ultima verità e assoluto. Eterno.
Solo nel contatto col suo contrario. Ma per questa purezza e splendore mancano proprio le parole. Mi sorprende a volte scoprire come ogni conquista in questo viaggio di conoscenza di me, e quindi di "noi" sia più appagante che la gratificazione personale nelle varie vicende in cui siamo coinvolti; quasi come se il fine ultimo potesse essere la conoscenza umana stessa, più che non il privato benessere. Benessere e conoscenza che non avranno mai fine in una dimensione evolutiva, del divenire, e che trovano pace nell'essere, nella cosiddetta "presenza", nella benedizione del qui e ora.


Carla Piccini


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