Appunti di Filosofia
A cura di Cristina Allegretti
del Laboratorio Evolutivo Permanente
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Cristina Allegretti

Socrate

Il filosofo dell’anima

Vita:
Diotegene Laerzio ci racconta che: "
Socrate era figlio di Sofronisco scultore e Fenarete levatrice, come dice anche Platone nel Teeteto. Ateniese, del demo Alopece.
Secondo alcuni fu uditore di Anassagora, ma anche di Damone, come afferma Alessandro nelle successioni dei filosofi. Dopo la condanna di Anassagora, divenne uditore del naturalista Archelao, di cui, secondo Aristosseno, fu anche l'amasio. ..
Fu anche abile nell'arte retorica, come dice pure Idomeneo; ma anche, secondo la testimonianza di Senofonte, i Trenta gli impedirono d'insegnare l'arte della parola.
Aristofane lo schernisce come colui che rende migliore il discorso peggiore…..Fu anche il primo a discutere sulla vita e il primo dei filosofi a morire, in seguito a condanna capitale. Aristosseno, figlio di Spintaro, afferma che egli riuscì a diventare ricco: impiegava il capitale e ne ricavava degli interessi; spendeva solo le rendite e investiva di nuovo la somma….Spesso nell'indagine il suo conversare assumeva un tono piuttosto veemente: allora i suoi interlocutori lo colpivano con pugni o gli strappavano i capelli; nella maggiore parte dei casi era disprezzato e deriso, ma tutto sopportava con animo rassegnato.
Fu di animo forte, e democratico, ..fu indipendente e dignitoso.
Era capace di disprezzare anche coloro che lo schernivano. Era orgoglioso della semplicità del suo tenore di vita e non riscosse mai un compenso
."
Sposò due donne, la prima fu Santippe, da cui ebbe il figlio Lamprocle; la seconda Mirto, figlia di Aristide il Giusto da cui ebbe due figli Sofronsoco e Menesseno.
Durante la guerra del Peloponneso (431 - 404) prese parte come oplita a varie operazioni, dimostrando di avere coraggio. Tra il 406/405 dimostrò coraggio in quanto come membro del Consiglio dei cinquecento, fu il solo ad opporsi a un procedimento illegale in cui si volevano giudicare sommariamente gli strateghi vincitori delle Arginuse, accusati di non essersi adoperati per salvare i feriti e i naufraghi dopo la battaglia.
Due anni dopo rischiò la vita perché si rifiutò di arrestare il democratico Leonte di Salamina, come gli aveva ordinato Crizia, capo dei Trenta tiranni e un tempo partecipante al suo circolo di amici. Si salvò perché la tirannide cadde e ritornò la democrazia.
Socrate però dovette sembrare troppo pericoloso alla democrazia, visto che nel 399 fu denunciato per empietà e corruzione dei giovani da Meleto, dietro cui stava Anito, un potente uomo politico democratico.
Socrate, condannato a morte, non volle compromessi e accettò la Legge della sua città, morì nella primavera di quell'anno.
Pensiero:

Socrate compare ad Atene al tempo dei Sofisti ovvero al tempo di questo movimento "illuminista", di cui fanno parte Protagora, Gorgia e altri, i quali tentano di trasformare la tradizione politica, filosofica, religiosa dell'antica Grecia. Con i Sofisti l'indagine della filosofia cambia oggetto: dalla cosmologia passiamo alla nascita della filosofia morale.
Se con i Sofisti abbiamo il tentativo di un rinnovamento che però porta alla negazione della verità e all'abbandono del cercare il principio primo, con Socrate il rinnovamento ha un percorso positivo rappresentato dalla ricerca di instaurare una morale universale ovvero a cercare quei principi universali che fanno agire l'uomo nel Bene, e quindi nel Ritrovamento della Verità.
Il Bene, le Virtù, la dialettica attraverso cui il filosofo riesce a far nascere le anime nei suoi interlocutori (la maieutica), saranno gli strumenti e i fini della nuova filosofia morale che Socrate partorisce, e saranno l'eredità del suo allievo, Platone.
Che cosa è dunque l'uomo? "
La risposta socratica è finalmente inequivoca: l'uomo è la sua anima, dal momento che è l'anima che distingue da qualsiasi altra cosa." (G. Reale).
Hegel così ci parla di Socrate all’interno del suo sistema: "
Apparve ad Atene la grande figura di Socrate, nel quale la soggettività del pensiero fu recata alla coscienza in maniera più determinata, più profonda. Però Socrate non spuntò dalla terra come un fungo, egli partecipa pienamente dello spirito dell'età sua; e quindi non soltanto è una figura importantissima, forse la più interessante fra quante ne presenti l'antichità, ma è anche una personalità di prim'ordine nella storia mondiale. Infatti in lui si è manifestata nella forma del pensiero filosofico una delle principali svolte della vita spirituale. Richiamiamoci brevemente alla memoria il ciclo finora percorso. Gli antichi Ioni hanno certo pensato, ma senza riflettere sul pensiero, cioè senza determinare il loro prodotto come pensiero. Gli Atomisti avevano ridotto l'essere oggettivo a pensieri, che però erano soltanto astrazioni, pure essenze. Invece Anassagora innalzò a principio il pensiero come pensiero, il quale in tal modo si palesò come il concetto onnipotente, come la potenza negativa su tutto ciò che è determinato e sussiste. Finalmente Protagora afferma che il pensiero è l'essenza, ma in quel suo movimento, che è la coscienza dissolvitrice di tutto, l'irrequietezza del concetto. Ma questa irrequietezza però in se stessa è anche un che di quiescente e di saldo. Orbene, ciò che v'ha di saldo nel movimento come movimento è l'io, perché esso ha fuori di lui i momenti del movimento; l'io, come ciò che conserva se stesso e supera soltanto l'altro, è unità negativa, ma appunto per ciò è un individuo, non ancora un universale riflesso in sé. Orbene, appunto in ciò consiste il doppio volto della dialettica e della sofistica. Una volta scomparso l'oggettivo, quel soggettivo che resta fermo significa o l'individuale opposto all'oggettivo, e quindi l'arbitrio accidentale e senza legge, oppure ciò ch'è in lui stesso oggettivo e universale. Socrate afferma che l'essenza è l'io universale, come coscienza quiescente in se stessa, orbene, questo è il bene come bene, che è libero dalla realtà esistente, libero dalla singola coscienza sensibile del sentimento e delle inclinazioni, libero finalmente dal pensiero che specula teoricamente sulla natura il quale, sebbene pensiero, ha però ancora la forma dell'essere, nel quale dunque io non sono certo di me.
Socrate in tal modo in primo luogo ha accettato la teoria di Anassagora che il pensiero, l'intelletto è l'universale, è quel che domina, che determina se stesso. Ma in lui questo principio non assume più, come nei Sofisti, l'aspetto della cultura formale o del filosofare astratto. Quindi se anche per Socrate, come per Protagora, l'essenza è il pensiero autocosciente, che toglie ogni determinato, in Socrate però ciò accade in modo ch'egli intenda ora insieme il pensare come quello che è quiete nella sua saldezza. Questa sostanza in sé e per sé, ciò che puramente e semplicemente si conserva, è stata ora determinata come fine: e, più precisamente, come il vero, come il bene.
…..Questo è, in breve, il procedimento di Socrate. L'affermativo, ciò che Socrate svolgeva nella coscienza, è nientemeno che il bene, in quanto esso scaturisce dalla coscienza mediante il sapere: l'eterno, l'universale in sé e per sé, ciò che vien chiamato idea, il vero che appunto in quanto è fine, è il bene. In questo rispetto Socrate si contrappone ai Sofisti, presso i quali l'affermazione che l'uomo è misura di tutte le cose contiene ancora i fini particolari, mentre in Socrate l'universale prodotto mediante il pensiero libero è quivi espresso in maniera oggettiva. Tuttavia non dobbiamo far colpa ai Sofisti se, nel disorientamento dell'età loro, non trovarono il principio del bene; chè ogni scoperta ha l'età sua e quella del bene, che oggi sta sempre a fondamento di tutto, come fine in sé, non era stata fatta ancora da Socrate
".
Attraverso i dialoghi di Platone noi conosciamo l'insegnamento di Socrate, il quale pensava che l'educazione consistesse nel conoscere e nel prendersi cura della propria anima: dal dialogo dell'Apologia di Socrate di Platone leggiamo: "
Ché questo, voi lo sapete bene, è l'ordine del Dio; e io sono persuaso che non ci sia per voi maggior bene nella città di questa mia obbedienza al Dio. Né altro in verità io faccio con questo mio andare attorno se non persuadere voi, e giovani e vecchi, che non del corpo dovete aver cura né delle ricchezze né di alcun'altra cosa prima e più che dell'anima, sì che ella diventi ottima e virtuosissima, e che non dalle ricchezze nasce virtù, ma dalla virtù nascono ricchezze e tutte le altre cose che sono beni per gli uomini, così ai cittadini singolarmente come allo Stato."
Socrate era essenzialmente un ricercatore, il nucleo centrale del suo pensiero e della sua ricerca parte dal suo ammettere di non sapere.
"
Avete conosciuto certo Cherefone. Egli fu mio compagno fino dalla giovinezza, e amico al vostro partito popolare, e con voi esulò nell'ultimo esilio, e ritornò con voi. E anche sapete che uomo era Cherofonte, e come risoluto a qualunqe cose egli si accingesse. Or ecco che un giorno costui andò a Delfi: e osò fare all'oracolo questa domanda: - ancora una volta vi prego, o cittadini, non rumoreggiate: - domandò se c'era nessuno più sapiente di me. E la Pizia rispose che più sapiente di me non c'era nessuno. Di tutto questo vi farà testimonianza il fratello suo che è qui; perchè Cherofonte è morto.
….Udita la risposta dell'oracolo riflettei in questo modo: "Che cosa mai vuole dire il dio che cosa nasconde sotto l'enigma? Perché io, per me, non ho proprio coscienza di esser sapiente, né poco né molto. Che cosa dunque vuol dire il dio quando dice ch'io sono il più sapiente degli uomini? Certo non mente egli; ché non può mentire". - E per lungo tempo rimasi in questa incertezza, che cosa mai il dio voleva dire. Finalmente, sebbene assai contro voglia, mi misi a farne ricerca, in questo modo. Andai da uno di quelli che hanno fama di essere sapienti; pensando che solamente così avrei potuto smentire l'oracolo e rispondere al vaticinio: "Ecco questo qui è più sapiente di me, e tu dicevi che ero io". - Mentre dunque io stavo esaminando costui, - il nome non c'è bisogno ve lo dica, o Ateniesi; vi basti che era uno dei nostri uomini politici questo tale con cui, esaminandolo e ragionandoci insieme, feci l'esperimento che sono per dirvi; - ebbene, questo brav'uomo mi parve, sì, che avesse l'aria, agli occhi di altri molti e particolarmente di se medesimo, di essere sapiente, ma in realtà non fosse; e allora mi provai a farglielo capire, che credeva essere sapiente, ma non era. E così da quel momento, non solo venni in odio a colui, ma a molti anche di coloro che erano quivi presenti. E, andandomene via, dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest'uomo ero più sapiente io. In questo senso, che l'uno e l'altro di noi due poteva pur darsi non sapesse niente né di buono né di bello; ma costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere; e mi parve insomma che almeno per una piccola cosa io fossi più sapiente di lui, per questa che io, quel che non so, neanche credo saperlo. E quindi me ne andai da un altro, fra coloro che avevano fama di essere più sapienti di quello, e mi accadde precisamente lo stesso, e anche qui mi tirai addosso l'odio di costui e di altri molti".
(Platone "Apologia di Socrate").
Questa affermazione ha per Severino diversi significati: "
Per Socrate dichiarare di non sapere significa dunque che nessuna delle convinzioni umane a lui note gli si presenta come verità - nemmeno quelle che esplicitamente intendevono valere come verità filosofica di contro alle semplici opinioni, e nemmeno quelle (proprie dei sofisti) che presumono porsi come la eliminazione definitiva di ogni verità. In questo senso, la critica di Socrate alla società è ancor più radicale di quella dei sofisti; e la condanna di Socrate da parte della società ateniese è la naturale reazione e difesa di una società che si sente minacciata nel modo più pericoloso.
Non so. Ma "so di non sapere". La differenza che Socrate pone tra sé e gli altri è appunto questa: che gli altri non sanno di non sapere. Sa cioè che la società e la cultura in cui vive non corrispondono all'idea della verità che i primi pensatori hanno portato alla luce, e quindi sa che cosa sia quella verità di cui egli rileva l'assenza: gli è cioè presente l'idea della verità.
Ma sapere di non sapere non significa soltanto aver presente l'idea della verità, ma essere nella verità. La verità rinasce su un piano diverso, proprio nell'atto in cui ci si rende conto di non sapere, cioè di non possedere la verità: la verità è ora appunto la verità della critica e del rifiuto di tutto ciò che si va scoprendo privo di verità.
E una verità povera - che consiste appunto nel semplice sapere di non sapere - , ma è anche una verità che si dispone a diventare ricca, nel senso che è il mettersi alla ricerca di quel vero sapere che ora si sa di non possedere. L'Oracolo aveva detto che Socrate era il più sapiente dei Greci; e Socrate è convinto che questa sua maggior sapienza consista appunto nel suo sapere di non sapere: ciò vuol dire che la coscienza di non sapere è intesa da Socrate come possesso della verità (l'esser sapientissimo tra i Greci esprimendo appunto questo possesso): quel possesso che è per altro la condizione della ricerca di un sapere che non sia semplicemente (ma ineliminabile) saper di non sapere
."
Dall'antichità ci è arrivato un quadro complesso della figura di Socrate, così complesso che ogni epoca della storia dell'umanità ha riconosciuto in Socrate un proprio aspetto: la tradizione cristiana ha visto in Socrate il pensatore più alto di tutti, il pensatore che più di tutti si è avvicinato al messaggio evangelico; il Rinascimento ha considerato Socrate uno dei suoi padri, l'Illuminismo ha visto in Socrate un suo precursore. Per noi oggi, Socrate rappresenta la necessaria e continua riflessione sulla complessità della vita, e il bisogno di tornare a noi stessi per rigenerare le nostre consapevolezze sugli interrogativi ultimi che la vita si pone e ci pone costantemente.

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